
Omri Miran è stato liberato dopo oltre due anni di prigionia nelle mani di Hamas. Di recente è stato dimesso dall’ospedale Ichilov di Tel Aviv e ha potuto far ritorno al kibbutz Kramim, dove vive con la famiglia. Durante la sua prigionia, secondo le dichiarazioni dei suoi familiari, Omri è stato tenuto incatenato in una gabbia, spesso costretto a restare accucciato in uno spazio molto angusto. Inoltre, sarebbe stato spostato ripetutamente tra tunnel sotterranei e edifici superiori a Gaza, in almeno 23 località diverse; gli è stato negato il diritto di ricevere notizie sulla moglie e sulle figlie, costringendolo a vivere nel dubbio per mesi. Per circa cinque mesi è rimasto confinato con altri ostaggi, poi progressivamente trasferito, fino a restare con un solo altro ostaggio.
I familiari hanno raccontato alla stampa locale che durante quel periodo di terrore, Miran cercava di mantenere la lucidità “contando ogni giorno nella sua testa”, e talvolta cucinava persino per i suoi aguzzini, che gradivano i suoi piatti. La ricostruzione del suo calvario, resa nota dopo la sua liberazione, accende i riflettori sulle condizioni subite da molti ostaggi. Omri era stato preso durante l’assalto del 7 ottobre dal kibbutz di Nahal Oz. Il quarantottenne ha anche descritto di essere stato legato per tre settimane, poco dopo il suo rapimento. Oltre a Miran, altri due ostaggi liberati – Matan Zangauker e Matan Angrest – sono stati rilasciati dall’Ichilov Medical Center nel corso della giornata di venerdì dopo aver ricevuto cure e completato le valutazioni.
L’ospedale ha fatto sapere che Angrest e la sua famiglia “si trasferiranno in un ambiente che consentirà un graduale ritorno a casa, ricevendo cure mediche e riabilitative in corso secondo necessità”. Lo staff di Ichilov ha dichiarato inoltre che tutti gli ostaggi recentemente liberati “continueranno ad essere accompagnati da squadre mediche e assistenti sociali e saranno sottoposti a esami di follow-up e cure come richiesto”.