Una giornata importante e difficile
Ieri è stata
un’altra giornata difficile nella politica interna israeliana, tutta assorbita
dal confronto sulla riforma della giustizia proposta dalla maggioranza. Gli
oppositori della riforma hanno continuato le manifestazioni in tutto il Paese,
cercando di stabilire una “giornata della paralisi”: hanno bruciato pneumatici
sulle strade di accesso al porto di Ashdod, manifestato in molte località,
bloccato come al solito le principali arterie di scorrimento di Tel Aviv e si
sono anche spinti nel vicino sobborgo di Bnei Berak, tutto abitato da charedim,
cioè dalla popolazione religiosa che la stampa occidentale chiama
“ultraortodossa”, uno dei bersagli della protesta. Con una mossa di grande
effetto, gli charedim hanno accolto i dimostranti cantando e danzando e
offrendo loro cibo e bevande.
Minacce di dimissioni
Per tutta la
giornata si sono susseguite voci di minacce di dimissioni nel governo. Il
ministro della difesa Gallant, che aveva chiesto di sospendere il percorso
legislativo della riforma giudiziaria per la preoccupazione del rifiuto che un
certo numero di riservisti delle forze armate ha opposto ai richiami per
esercitazioni come adesione alle proteste, minacciando le dimissioni, ha
annunciato una conferenza stampa per la sera, dove probabilmente aveva
intenzione di annunciarle. Il ministro della giustizia Levin ha comunicato che
in caso di blocco della riforma si sarebbe dimesso lui. Netanyahu ha prima
incontrato Gallant convincendolo a rinunciare alle dimissioni e poi alla
conferenza stampa; poi ha visto anche Levin e infine ha tenuto in serata un
discorso alla nazione.
Il problema del conflitto di interessi
Finora
Netanyahu si era astenuto dall’intervenire pubblicamente sulla riforma perché
questo gli era stato proibito dal Procuratore Generale Gali Baharav-Miara sulla base di un accordo fatto col
precedente procuratore generale Manderblit in cui Netanyahu, sotto processo da
alcuni anni per alcuni controversi episodi di abuso di potere, si impegnava a
non intervenire nell’amministrazione della giustizia, per esempio la nomina dei
giudici. La Corte Suprema aveva decretato che Netanyahu, essendo imputato ma
non condannato, aveva diritto a diventare primo ministro, se fosse stato
nominato a questo ruolo. Gali Baharav-Miara aveva
però interpretando estensivamente l’accordo, proibendogli anche di partecipare
alla discussione molto generale e politica sulla riforma, con la minaccia implicita
di dichiararlo “incapace” di svolgere il suo ruolo ed estrometterlo,
interpretando in maniera molto estensiva una clausola di legge che regola le
situazioni in cui il primo ministro per ragioni di salute non può svolgere il
suo ruolo, come era accaduto ad Ariel Sharon dopo un ictus nel 2006. La Knesset
(il parlamento unicamerale israeliano) ha però approvato l’altro ieri un
emendamento alla legge che sposta il potere di dichiarare inabile il primo
ministro dal procuratore generale e alla Knesset, svuotando la minaccia di Baharav-Miara, che comunque ha stamattina
scritto una lettera a Netanyahu per contestargli la violazione del suo ordine.
Che cosa ha detto Netanyahu
In
un discorso emozionato e molto deciso il primo ministro ha annunciato che da
oggi si sarebbe personalmente occupato della questione e ha difeso la riforma
come un’estensione della democrazia e non un suo rifiuto. Ha detto fra l’altro:
“Abbiamo un
paese e dobbiamo fare di tutto per proteggerlo dalle minacce esterne, e da uno
strappo irreparabile dall’interno. Non possiamo permettere che nessuna
controversia, per quanto acuta, metta a repentaglio il nostro futuro comune.
Non solo dobbiamo respingere la violenza e il bullismo, dobbiamo anche
respingere e condannare l’istigazione. Gli oppositori della riforma non sono traditori, e i sostenitori
della riforma non sono fascisti. Una stragrande maggioranza dei cittadini
israeliani, in tutto l’arco politico, ama il nostro paese e vuole proteggere la
nostra democrazia”.
Il dibattito
“Abbiamo opinioni
divergenti – ha continuato Netanyahu -. I sostenitori della riforma pensano che
qui non ci sia vera democrazia e che ciò che mette in pericolo la democrazia
sia una Corte Suprema ‘onnipotente’ che entra in qualsiasi questione e gestisce
effettivamente il paese. D’altra parte, chi si oppone alla riforma pensa che
ciò che metterà in pericolo la democrazia siano la Knesset e un governo che
potrà agire senza freni e senza vincoli, danneggiando i diritti individuali. Un normale
regime democratico deve occuparsi di queste due questioni. Deve garantire il
governo della maggioranza, e nel processo deve preservare i diritti
dell’individuo. Per garantire questo, e per prevenire la divisione del popolo,
la riforma giuridica della democrazia deve rispondere a queste due esigenze
fondamentali. Al fine di evitare una scissione, ciascuna parte deve prendere
sul serio le rivendicazioni e le preoccupazioni dell’altra parte – e chiedo di
farlo ora”.
Il progetto
“Quindi alla luce di queste preoccupazioni stasera dico: credo che
sia possibile introdurre una riforma che risponda a entrambe le parti. Una
riforma che ristabilisca l’equilibrio adeguato tra i poteri dello stato – e
invece mantenga, e di più, non solo mantenga, ma sviluppi – i diritti
individuali di ogni cittadino del paese. Il modo migliore per ottenere una
riforma del genere, è il dibattito in modo da raggiungere il più ampio consenso
possibile. Purtroppo, finora i rappresentanti dell’opposizione si sono
rifiutati di partecipare a questa discussione. Quasi tre mesi sono stati
sprecati per questo rifiuto. Spero che questo cambi nei prossimi giorni. Sto
lavorando per trovare una soluzione Sono attento alle preoccupazioni
dell’opposizione. Notate che abbiamo già apportato modifiche alla legge
relativa alla commissione per la selezione dei giudici, per rispondere alle
preoccupazioni dell’opposizione. La legge che verrà portata la prossima
settimana per l’approvazione della Knesset è una legge che non prende il
controllo dei tribunali, ma lo bilancia e lo diversifica. Apre le porte della
Corte Suprema al pubblico, a vasti
settori, che fino ad oggi gli sono stati evitati da decenni. Ora voglio
rispondere specificamente a una preoccupazione centrale sollevata dall’altra
parte. So che c’è il timore di una organizzazione schiacciante e illimitata,
che darebbe a qualsiasi piccola maggioranza della Knesset la possibilità di
scavalcare qualsiasi decisione del tribunale. Voglio dirlo chiaramente. Questo
non succederà. Al contrario, intendiamo e intendo tutelare i diritti dell’individuo.
Garantiremo i diritti fondamentali di tutti i cittadini israeliani – ebrei e
non ebrei, laici e religiosi, donne, LGBT. Tutti quanti – nessuna eccezione.
Tutta la legislazione sarà vincolata da questi principi. Non lo dico
astrattamente, intendiamo approvare una legislazione esplicita in questo senso.
Amici miei, lo dichiaro: farò di tutto, di tutto, per calmare gli spiriti e per
conciliare la spaccatura. Perché siamo fratelli”.
La forza della leadership di Netanyahu è ancora molto grande in
Israele, ma raccoglie anche grandi opposizioni. Vedremo se questo intervento,
che ha certamente intenzioni concilianti, riuscirà a far partire un dibattito
costruttivo.