Un viaggio difficile
Domani arriva in Israele il presidente americano Biden. Si fermerà tre giorni, vedrà naturalmente il primo ministro in prorogatio Yair Lapid, il presidente Herzog, e il capo dell’opposizione Bibi Netanyahu. Andrà anche nei territori dall’Autorità Palestinese a incontrare Mohamed Abbas e poi proseguirà il viaggio in Arabia Saudita. Chiaramente non è un viaggio facile per il vecchio presidente, ormai molto propenso alle gaffes, ai vuoti di memoria, ai discorsi confusi. Ma evidentemente l’amministrazione americana considera fondamentale questo percorso: la crisi israeliana forniva un ottimo pretesto per evitare la fatica e i rischi della visita, ma Biden ha deciso invece di mantener l’impegno.
La concorrenza con la Russia
La prima ragione per il viaggio e la sua urgenza non sta nel Medio Oriente, ma in Europa Orientale, nel contesto dell’invasione russa dall’Ucraina. Prima con Obama, poi con Trump e Biden gli Usa hanno seguito una linea costante di disimpegno dal Medio Oriente, che ha lasciato largo spazio alla Russia, in particolare in Siria, ma anche con l’alleanza sempre più stretta con l’Iran e con accordi con diversi altri stati. Ora la Russia ha dovuto alleggerire (ma non abbandonare) la sua presa sulle regioni più lontane dal conflitto e gli Usa trovano utile riaffermare il loro potere sulla regione. C’è chi in questo senso ha lanciato la parola d’ordine di una NATO del Medio Oriente.
La riaffermazione della politica di appoggio ai palestinesi
Ma Biden guarda anche alle elezioni americane di med-term, che si svolgeranno a novembre, subito dopo quelle israeliane, e ha bisogno in particolare compiacere la sempre più potente ala sinistra del suo partito, che vorrebbe riaffermare l’appoggio ai palestinesi. Per questo ha molto insistito, finora senza successo, per la riapertura del consolato a Gerusalemme, fatto chiudere da Trump con il trasferimento dell’ambasciata nella capitale di Israele. Il consolato era a sua volta una specie di ambasciata per l’Autorità Palestinese, e però si trovava a Gerusalemme e non a Ramallah. Volerlo riaprire ancora a Gerusalemme serve evidentemente a mettere in dubbio il riconoscimento di Trump. Non sappiamo se Lapid cederà su questo punto che Bennett aveva rifiutato, ma già il consolato nella vecchia sede ha riaperto come “sezione di interesse” sottoposta direttamente al Dipartimento di Stato. Biden ha anche sbloccato i fondi all’Autorità Palestinese che erano stati sospesi perché usati per gli stipendi ai terroristi condannati. Insomma la visita non sarà facile per lui, che certo vuole appoggiare elettoralmente Lapid contro Netanyahu e neppure per Lapid, che vorrebbe compiacerlo, ma in questo caso si scoprirebbe a destra. Nel frattempo però il governo ha sospeso tutte le iniziative in Giudea e Samaria (costruzione di alloggi ebraici, abbattimenti di strutture arabe illegali) che potrebbero dar fastidio all’amministrazione Usa.
L’Iran
Il vero tema imbarazzante però è l’Iran. Israele e l’Arabia Saudita, i paesi più importanti che Biden visita e che dovrebbero essere le colonne della nuova NATO mediorientale, sanno benissimo che l’Iran è un nemico mortale per loro, intento a costruire il suo armamento nucleare e ad attaccarli usando anche i movimenti terroristi che controlla. Pensano dunque soprattutto a come rafforzare l’alleanza difensiva contro questo nemico, estendendo un coordinamento militare che è già attivo. Biden invece sta facendo “tutti gli sforzi” (come si è espresso l’altro giorno un comunicato dell’amministrazione) “per concludere positivamente il rinnovo dell’accordo” a suo tempo concluso da Obama con l’Iran, che i governi della regione giudicano pericolosissimo perché fornisce grandi somme economiche, legittimità politica e possibilità di libero commercio internazionale anche di materiali strategici e fra pochi anni lascerà libero l’Iran anche di proclamare ufficialmente il proprio armamento nucleare. Fra l’altro l’Iran non perde giorno per raffermare il suo appoggio alla Russia, oggi nemica aperta degli Usa. La Nato del Medio Oriente, come hanno detto anche gli iraniani, sarebbe un patto contro di loro, pericolosissimo. Ma l’America può cercare di fare un accordo favorevole all’Iran e insieme un’alleanza per bloccarlo?
I risultati incerti
C’è insomma una confusione strategica sotto il viaggio di Biden che certamente gli incontri che avrà non scioglieranno. E’ sicuro che il governo saudita, per cui questa visita è una grande vittoria dopo la freddezza che hanno subito dai democratici americani in seguito al caso di Jamal Kashoggi, il giornalista di opposizione saudita ucciso in Turchia, non cederanno sugli interessi fondamentali del loro paese e non si faranno coinvolgere nell’”appeasement” di Biden. Quanto a Lapid, appena salito al governo e coinvolto in una sfida elettorale per lui decisiva, la sua linea politica su questi temi non è ancora chiara. Certamente non può prendere impegni a lungo termine. E’ probabile, in definitiva, che il viaggio di Biden ottenga pochi risultati politici concreti e abbia soprattutto un valore di comunicazione. Che dica insomma alla Russia che non deve sentirsi troppo sicura sul fronte mediorientale, al partito democratico che l’amministrazione è coi palestinesi, all’elettorato israeliano che Biden sta dalla parte di Lapid, al mondo che gli Usa riescono a far dialogare Israele e Arabia (ma è un dialogo che va avanti da tempo e semmai il merito di averlo iniziato spetta a Trump). Vedremo nei prossimi giorni se vi saranno altri risultati interessanti. Per ora bisogna registrare il fatto che il Medio Oriente è ancora uno dei pochissimi centri geopolitici del mondo e che Israele, piaccia o no questo all’Iran e a chi lo appoggia, è determinante per decidere il suo destino.