
Le ragioni della durata
La settimana scorsa, come e più di quelle precedenti, è stata segnata da un doppio volto: quello della guerra sul campo, che Israele combatte ormai da oltre un anno e mezzo, e quelle della guerra mediatica e giudiziaria contro gli ebrei e il loro Stato, che precede di gran lunga il 7 ottobre 2023 ma si è acutizzata di nuovo in questo periodo. Sul primo piano la guerra è lenta e complessa, anche perché gestita da una “testa della piovra” che agisce da lontano ed è difficile colpire (l’Iran) ed è stata messa in atto dai suoi satelliti a Gaza, in Libano, in Siria, in Iraq, in Yemen, in Giudea e Samaria. Questi gruppi non manovrano come eserciti classici, anche se sono armati, addestrati e finanziati come tali e se talvolta gestiscono un territorio che per certi versi somiglia a uno stato. Ma essi applicano sistematicamente la strategia della guerriglia urbana, nascondendosi dietro ai civili e alle istituzioni che dovrebbero tutelarli (scuole, moschee, soprattutto ospedali) e usando le tecniche moderne (soprattutto quelle missilistiche) per tentare di colpire la popolazione civile e quella della guerra psicologica e comunicativa per indebolire lo Stato ebraico. A causa di queste tattiche la guerra non si può risolvere con una battaglia campale e anche l’eliminazione di un numero notevole di capi e truppe non basta a risolverla, almeno a Gaza, perché bisogna prendere atto che essi trovano facilmente nuove reclute in una popolazione fanatizzata.
Buoni risultati militari
Sul piano militare l’ultimo periodo è positivo per Israele. Si è confermata la scelta delle autorità libanesi di non consentire a Hezbollah di trascinare ancora il paese in guerra ed Israele ha potuto eliminare senza problemi alcuni loro comandanti e depositi di armi. In Siria sembra confermata la decisione del regime di Al Jolani di non provocare Israele, rinunciando allo sterminio dei drusi che sembrava preparare e non osteggiando i presidi dell’esercito israeliano fra il Golan e l’Hermon. L’accordo con Trump per l’annullamento delle sanzioni americane è condizionato infatti al comportamento non aggressivo della Siria e in prospettiva prevede l’adesione agli accordi di Abramo. Israele ha stretto con la Turchia, che è il padrino di Al Jolani, un patto di consultazione telefonica per evitare scontri involontari, che in sostanza sancisce il carattere demilitarizzato delle regioni siriane al confine con Israele, rendendo improbabile per il momento ogni aggressione da quel lato. Gli Houti continuano a sparare periodicamente missili contro località civili israeliane, ma sono stati duramente colpiti e probabilmente lo saranno di nuovo, sicché la loro minaccia è ridimensionata. Resta l’Iran, su cui Israele attende il probabile fallimento delle trattativa con gli Usa per cercare di distruggerne la minaccia nucleare. E resta naturalmente Gaza. Dopo il fallimento delle trattative dovuto al rifiuto di Hamas delle condizioni americane per por fine alla guerra (disarmo e smantellamento delle forze terroriste, liberazione di tutti i rapiti) la pressione israeliana aumenta e ormai ci sono cinque divisioni (parecchie decine di migliaia di soldati) che stanno entrando in tutta la Striscia, mentre si perfeziona l’allestimento patrocinato dagli Usa di aree sicure e sistemi di rifornimenti della popolazione civile che non siano appropriati da Hamas come in precedenza. In sostanza, è in vista la distruzione vera della minaccia militare di Hamas.
L’incitamento all’odio
Proprio questi due sviluppi positivi (disarmo forzato dell’Iran e sconfitta definitiva di Hamas) hanno scatenato la macchina dell’odio in Occidente, ormai sempre più consapevolmente non diretta a una generica solidarietà con le sofferenze della popolazione di Gaza, ma al sostegno del terrorismo di Hamas, alla volontà di distruzione di Israele e direttamente all’antisemitismo. Se restava un dubbio sulla buona fede di chi manifestava o faceva dichiarazioni “per la pace” a Gaza, ormai la malafede è diventata evidenza. Vi è uno schieramento chiaramente anti-israeliano e sempre più scopertamente antisemita che va dagli estremisti dei centri sociali e dei gruppi islamisti ai sindacati e ai partiti della sinistra, fino ai governi che intendono premiare il terrorismo riconoscendo “lo Stato di Palestina” (si sono pronunciati così Francia, Gran Bretagna, Canada dopo Belgio, Irlanda, Spagna ecc.) e che vorrebbero rivedere gli accordi economici europei con Israele, realizzando un boicottaggio statale (hanno votato in questo senso 15 dei 27 paesi dell’UE).
L’antisemitismo in azione
E per questi attori istituzionali sembra non contare il fatto che sempre più frequentemente emerga il carattere criminale e terrorista della “lotta” contro Israele, come mostra anche l’orribile omicidio di due funzionari dell’ambasciata israeliana di Washington, Yaron Lischinsky e Sarah Milgrim, ma anche una miriade di episodi meno sanguinosi, boicottaggi, minacce, violenze fisiche, danneggiamenti, scritte d’odio, che ricordano il clima di epoche buie. Il giornalismo, i media e la politica ci mettono la loro parte, incitando all’odio di Israele e tentando di ricattare gli ebrei, condizionando il loro diritto di parola e perfino di esistenza all’adesione alla campagna d’odio. Comunissimo è l’uso di menzogne costruite per indebolire l’autodifesa di Israele e la solidarietà internazionale e la simpatia popolare che nonostante tutto la circonda: dalla diffamazione personale di Netanyahu (“pazzo criminale” secondo Conte) alla riproposizione della calunnia del sangue nei confronti dei soldati, dall’invenzione di fake news (la più frequente nella settimana scorsa è quella che inventava ogni giorno una frattura fra Usa e Israele) ai vecchi insulti di stile nazista. Qualcuna di queste menzogne emerge e porta conseguenze, com’è stato il caso, questa settimana, della sospensione dalla funzione del procuratore della corte internazionale dell’Aya, Karim Khan, che sembra avesse promosso il mandato di cattura contro Netanyahu per coprirsi dall’indagine per abusi sessuali ai danni delle sue collaboratrici. Ma la ripetizione continua e non prende atto delle smentite fattuali. A tutta questa offensiva di comunicazione è necessario resistere, spiegando il buon diritto all’autodifesa di Israele e i suoi grandi sforzi per condurre questa guerra non voluta nella maniera più umana possibile. E alla fine sarà la vittoria di Israele a modificare il panorama politico del Medio Oriente, travolgendo i terroristi e i loro sostenitori, anche in Occidente.