
I fattori del successo
In questi quasi due anni di guerra le vittorie più importanti sono state assicurate a Israele da due strumenti in cui lo stato ebraico è all’avanguardia nel mondo: dal servizio segreto esterno (Mossad) e dall’aviazione. Ma soprattutto, dalla loro piena collaborazione. Ne sono esempi la decapitazione dell’apparato terrorista di Hezbollah con i “cercapersone” esplosivi e i bombardamenti che ne hanno eliminato i vertici compreso il leader carismatico Nasrallah; la “guerra dei dodici giorni” in cui Israele ha colpito pesantemente il programma nucleare dell’Iran e la leadership militare e scientifica che lo stava attuando; i precisi colpi su Siria e Iran che hanno distrutto tanta parte dell’arsenale segreto di Hezbollah e del regime siriano; l’eliminazione di buona parte dei capi Houti due settimane fa. In tutti questi casi si sono unite l’infiltrazione delle reti di comunicazione, la capacità di individuare con estrema precisione le posizioni e le attività di bersagli molto segreti e protetti, la sorveglianza da vicino e magari l’eliminazione diretta sul terreno. Le abilità tecniche straordinarie dell’aviazione per portare gli aerei israeliani a portata di tiro di obiettivi assai lontani, la precisione e la forza dei colpi, sparati spesso a grande distanza.
L’operazione a Doha
Secondo indiscrezioni del Washington Post, proprio questa collaborazione sarebbe mancata nell’ultima audace incursione di questa serie, quella della settimana scorsa sulla capitale del Qatar, Doha, che si proponeva di eliminare la cupola dei capi di Hamas riunita a distruggere delle strategie del gruppo. Il Mossad si sarebbe rifiutato di partecipare all’operazione “per non rovinare i rapporti col Qatar” e la mancata guida locale (e l’impossibilità di un successivo attacco da terra in caso di successo incompleto) avrebbe fatto sì che almeno alcuni fra gli obiettivi più importanti si sarebbero sottratti al bombardamento. Questa assenza sarebbe la causa dell’omissione del nome del servizio segreto esterno nei comunicati dopo il bombardamento e la sua anomala sostituzione con quello interno, lo Shin Bet, anche se certamente il Qatar è fuori dalla sua area normale di attività. Si tratta comunque di un segno allarmante della difficoltà di coordinamento delle istituzioni israeliane. In realtà sulla sopravvivenza dei suoi capi per ora abbiamo solo la parola di Hamas, che è sempre propagandistica. Sui giornali si è aggiunta anche l’ipotesi che le bombe usate fossero piuttosto deboli, per non fare danni collaterali, e che per questa ragione non abbiano centrato chi si era allontanato dalla sala di riunione. Inoltre si è molto parlato dell’ipotesi che Trump, attraverso il suo negoziatore Witkoff abbia inoltrato la notizia dell’attacco al governo del Qatar che avrebbe fatto in tempo ad avvertire Hamas. Notizia smentita da più parti, ma non per questo inattendibile: ci sono diversi precedenti di operazioni israeliane non realizzate per questa ragione. Bisogna infine dire che, anche se Israele non è riuscito a eliminare capi terroristi, ha dato un segno concreto di voler dare loro la caccia, come aveva annunciato e ha messo in rilievo la complicità che lega loro il Qatar, oltre a mostrare di nuovo una straordinaria competenza militare: il precisissimo bombardamento sarebbe stato compiuto con missili lanciati dal Mar Rosso, in modo da non invadere lo spazio aereo dell’Arabia Saudita, a una distanza quindi di 1500 chilometri.
La situazione a Gaza
Se Mossad e aviazione sono stati certamente finora i maggiori fattori di forza di Israele, questa guerra ha mostrato anche di nuovo che solo fanteria e reparti corazzati possono conquistare il territorio e dunque concludere la battaglia. In questo momento infatti il fronte più attivo è ancora Gaza City, quella decina di chilometri quadrati che l’esercito deve finalmente occupare per smantellare le forze terroriste. Per il momento siamo ancora nella fase preliminare: lo sforzo principale è quello di allontanare dall’area urbana gli abitanti civili per non danneggiarli; seguendo le indicazioni israeliane e contro la violenta opposizione di Hamas se ne sono andati per il momento in 250 mila, circa la metà delle persone coinvolte. Per evitare le trappole, bisogna allo stesso tempo distruggere i punti di arroccamento, osservazione e cecchinaggio dei terroristi, in sostanza soprattutto gli edifici più alti. Ne sono stati abbattuti finora una sessantina. Le truppe israeliane avanzano con molta cautela per evitare di subire troppi danni e nei limiti del possibile di colpire gli scudi umani di Hamas. Se le cose procederanno come ora, è probabile che per la data simbolica del secondo anniversario della guerra, fra tre settimane, questa fase di battaglia possa essere chiusa e resti solo da consolidare la vittoria, catturando o eliminando le bande superstiti di Hamas. Si spera che, come sta in parte già accadendo, l’evidenza della sconfitta porti a defezioni da Hamas, permettendo la liberazione dei rapiti.
L’ottavo fronte
Se Israele continua ad essere in chiaro vantaggio sui sette fronti di guerra (anzi appare “invincibile in questa fase, come ha dichiarato un politico islamista iracheno, insolitamente esplicito), esiste un ottavo fronte, quello della politica internazionale, dei media, dell’opinione pubblica occidentale, su cui invece oggi appare perdente. C’è stato in questa settimana un voto del Parlamento Europeo e uno dell’Assemblea Generale dell’Onu, entrambi solo politici e non esecutivi, ma largamente a favore del “riconoscimento” dell’inesistente “stato di Palestina”, una misura che ha senso solo come rappresaglia contro Israele. C’è stato il boicottaggio annunciato dalla Spagna, decine di atti antisemiti più o meno gravi, per esempio solo in Italia negli ultimi giorni lo striscione contro Israele appeso sulla cancellata della sinagoga di Livorno, le svastiche davanti alla casa di un regista ebreo, la querela e la minacce contro il lavoro di controinformazione svolto dal quotidiano “Il Tempo”, la vera e propria violenza fisica contro una coppia identificata come di origine ebraica a Venezia, eccetera. C’è la sfilata propagandistica della “flottiglia” destinata presto a essere bloccata dalla Marina militare israeliana, che al di là di ogni considerazione politica non può fare eccezioni nella tenuta del blocco di Gaza, perché questo ai termini del diritto marittimo internazionale gli toglierebbe validità giuridica. Non è difficile immaginare che quest’operazione provocherà altre violenze e altra propaganda antisemita a cascata. Israele da solo o solo col mondo ebraico non ha la forza di contrastare questa ondata, la più grave dai tempi della Shoah. Ci vorrebbe un’opinione pubblica davvero democratica, che si rendesse conto della situazione e denunciasse il progetto illiberale, antieuropeo, millenarista, sostanzialmente fascista che motiva questa ondata ancor più fra le masse occidentali che fra quelle musulmane. Ma purtroppo questa coscienza è rara e si può pensare che l’ottavo fronte si calmerà solo quando saranno vinti con chiarezza tutti gli altri sette e in particolare Gaza.