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    La nuova legge sul “principio di ragionevolezza”. Ragioni e prospettive

    Le conseguenze del voto

    La legge che limita l’uso del cosiddetto “principio di ragionevolezza” (“Ilat hasvirut”) nelle motivazioni dei provvedimenti giudiziari è stata approvata definitivamente dal parlamento israeliano l’altro ieri e non vi sono state conseguenze drammatiche che molti temevano. Si è svolto uno sciopero dei medici; un gruppo di avversari della riforma ha comprato tutte le prime pagine dei quotidiani principali e le ha fatto uscire tutte listate a lutto, completamente nere; vi sono state le solite manifestazioni pro e contro la riforma con qualche incidente minore non grave; non sono mancate le dichiarazione bellicose di qualche ex primo ministro: in questo caso Ehud Olmert che ha annunciato l’inizio della guerra civile. La coalizione di governo, naturalmente ha esaltato la vittoria ottenuta facendo passare un pezzo importante del suo programma.

     

    I poteri della Corte Suprema

    In realtà anche queste reazioni limitate sono eccessive, perché sul piano pratico poco cambia nel sistema giudiziario israeliano. È bene sapere innanzitutto che la Corte Suprema può essere interpellata con una petizione da chiunque trovi che una legge, un provvedimento amministrativo, una nomina o anche una mancata azione di qualunque autorità sia sbagliata o ingiusta. La Corte Suprema può abolire una legge (incluse le “leggi fondamentali” che in Israele regolano le materie che altrove sono oggetto della Costituzione) o una decisione amministrativa, può annullare una nomina (anche quella di un ministro o del primo ministro e infatti a settembre ci sarà un giudizio sulla possibilità di Netanyahu di continuare a ricoprire il ruolo per cui ha avuto la fiducia della Knesset) o anche imporre un’azione al governo o all’amministrazione pubblica. Per farlo, naturalmente, deve mettere una sentenza motivata.

     

    Che cos’è il principio di ragionevolezza

    Contrariamente a quel che avviene in quasi tutti i paesi democratici, però, la Corte israeliana non ha bisogno di motivare la propria decisione con l’applicazione di una legge. Può semplicemente sostenere che ciò che annulla, proibisce, ecc. non è “ragionevole” o “opportuno”. Naturalmente basta guardare la storia o la geografia per vedere che non esiste nulla di oggettivo nell’idea che qualcosa sia ragionevole o non lo sia. Basta vedere il modo in cui oggi tanti stati europei considerano irragionevoli le pratiche ebraiche in materia di macellazione degli animali e addirittura di circoncisione. Il che non significa che non si possa parlare di ragionevolezza e opportunità di molte scelte. Ma è importante sapere che si tratta di discussioni etiche e politiche, che comportano naturalmente divergenze di opinione, le quali in democrazia si risolvono col principio maggioritario: chi nelle elezioni ottiene più voti decide – fatti salvi i diritti fondamentali delle minoranze.

     

    Non si tratta di una rivoluzione

    La legge approvata impedisce alla Corte Suprema e agli altri tribunali di motivare le proprie decisioni con questo principio, proprio perché opinabile e politico. Fa parte dei principi della democrazia il fatto che i tribunali debbano applicare le leggi e non scriverle, perché questo compito spetta al parlamento. D’altro canto la richiesta di motivare le sentenze in termini di leggi e non di “ragionevolezza”, cioè di opinioni, non elimina affatto l’autonomia della magistratura, né rende insindacabili le scelte politiche, innanzitutto perché parlamento e governo devono renderne conto ai detentori della sovranità, cioè gli elettori; e poi perché non impedisce affatto ai giudici di fare il loro lavoro cioè di applicare la legge. Quindi nella riforma appena approvata non è affatto in gioco la democrazia e neppure la separazione dei poteri. D’altro canto la nuova legge non è affatto decisiva. Come ha detto l’ex presidente della Corte Suprema Aaron Barak, che negli anni Ottanta è stato l’iniziatore dell’interventismo politico della Corte e anche l’inventore dell’“Ilat hasvirut”, questo è solo uno strumento. Se la Corte è ben decisa a bloccare una decisione politica o amministrativa o al contrario a obbligarla, può trovare altri strumenti nelle leggi fondamentali, come per esempio il “principio di eguaglianza”.

     

    La riforma non è terminata

    Dunque la legge appena approvata non è il tassello decisivo del progetto di riforma della maggioranza, che mira a riequilibrare i poteri dello stato. Lo sarebbero molto di più la riforma del comitato di nomina dei giudici, che attribuisce alla Corte un potere decisivo sulla nomina dei nuovi giudici, inclusi i propri stessi membri, che non si ritrova in quasi nessun sistema democratico. O il principio per cui la Knesset possa superare con un voto l’annullamento di una legge deciso dalla Corte. Queste parti della riforma hanno già superato l’esame preliminare della Knesset, ma Netanyahu ha deciso di attendere fino alla sessione invernale prima di decidere se portarle avanti, per dar tempo alla trattativa con l’opposizione. Per ora quel che conta è che il sistema politico israeliano ha ricominciato a funzionare regolarmente, con la maggioranza che lavora in parlamento per trasformare il proprio programma in leggi. La speranza è che questo processo continui a essere pacifico e non sia sfruttato da chi è disposto a tutto pur di far cadere il governo e prendere il potere.

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