
Tra i Paesi sviluppati, Israele rappresenta un caso interessante. Nonostante una spesa per la sanità pubblica relativamente bassa, il Paese vanta un’aspettativa di vita tra le più alte al mondo. Secondo gli ultimi dati diffusi dal Ministero della Salute, la durata media della vita ha raggiunto quota 83,8 anni, un risultato che colloca Israele al quarto posto tra i membri dell’OCSE (l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico), dietro a Svizzera, Giappone e Spagna.
Questo dato riflette un incremento significativo rispetto all’anno precedente, con le donne che hanno raggiunto una media di 85,7 anni e gli uomini di 81,7. Si tratta di un miglioramento notevole, attribuito in larga parte alla ripresa post-pandemica, che ha segnato negli anni scorsi un lieve rallentamento della crescita della longevità.
Ciò che colpisce maggiormente è il rapporto tra risultati e risorse. Infatti, Israele destina solo il 7,6% del PIL alla sanità pubblica. Una percentuale modesta, soprattutto se confrontata con altri Paesi OCSE, ma che viene sfruttata con grande efficienza, facendo così ottenere risultati superiori a quelli della media.
Un dato emblematico è quello sulla mortalità infantile: appena 2,7 decessi ogni 100.000 nascite. È uno dei tassi più bassi a livello internazionale, frutto di decenni di politiche mirate tra prevenzione prenatale, accesso diffuso ai test genetici, monitoraggio continuo delle gravidanze e programmi di educazione sanitaria rivolti ai genitori. Il calo costante della mortalità neonatale dimostra la solidità di queste strategie nel tempo, pur in presenza di disuguaglianze socioeconomiche interne.
Anche sul fronte della prevenzione, Israele ottiene risultati degni di nota. Il tasso di mortalità evitabile si attesta a 134 decessi ogni 100.000 abitanti, secondo soltanto alla Svizzera tra i Paesi OCSE. Un numero in costante calo dal 2010, che riflette l’efficacia delle politiche sanitarie nel prevenire le malattie, promuovere stili di vita sani e intervenire tempestivamente nelle emergenze.
Un altro fronte sensibile è quello delle malattie cardiovascolari, tra le principali cause di morte nei Paesi occidentali. In Israele, il tasso di mortalità correlato è sceso a 49,4 ogni 100.000 persone, in calo costante dal 2015. L’accesso facilitato a cure di ultima generazione, l’uso sempre più diffuso di terapie preventive e le campagne di educazione alimentare hanno inciso profondamente su questi risultati.
Nel campo delle vaccinazioni, il Paese si distingue ancora una volta. La copertura vaccinale contro il morbillo, ad esempio, supera stabilmente il 90%, in linea con le migliori performance europee. Un dato particolarmente rilevante se si considera l’aumento della disinformazione sanitaria in molti altri Paesi, spesso amplificata dai social media.
Naturalmente, non mancano le sfide. Una delle più persistenti riguarda il fumo. Circa il 16,1% degli israeliani sopra i 15 anni fa uso regolare di tabacco. Una percentuale che, sebbene leggermente in calo nell’ultimo decennio, resta elevata. Il tabagismo provoca circa 8.000 decessi l’anno e rappresenta ancora oggi uno dei nodi critici da affrontare.
Come ha detto il Dr. Asher Shalmon, direttore della Divisione Relazioni Internazionali del Ministero della Salute, “il fumo rimane una delle priorità sanitarie irrisolte”, insieme alla necessità di potenziare le infrastrutture e il personale medico, in un contesto dove la domanda di servizi continua a crescere.
Il sistema sanitario israeliano si muove, dunque, in un delicato equilibrio tra efficienza e sostenibilità, che il Paese continua a gestire con risultati che attirano l’attenzione del panorama sanitario globale.