Skip to main content

Ultimo numero Settembre – Ottobre 2025

Scarica il Lunario

Contatti

Lungotevere Raffaello Sanzio 14

00153 Roma

Tel. 0687450205

redazione@shalom.it

Le condizioni per l’utilizzo di testi, foto e illustrazioni coperti da copyright sono concordate con i detentori prima della pubblicazione. Qualora non fosse stato possibile, Shalom si dichiara disposta a riconoscerne il giusto compenso.
Abbonati







    ISRAELE

    Israele, restituiti i corpi di Amiram Cooper e Sahar Baruch

    Hamas ha restituito giovedì a Israele i corpi di Amiram Cooper e di Sahar Baruch. La notizia è stata confermata in serata, dopo l’identificazione condotta presso l’istituto forense Abu Kabir. Le salme, trasferite dalla Croce Rossa alle forze israeliane all’interno della Striscia, sono state identificate e successivamente consegnate alle famiglie: un sollievo che arriva però solo per accompagnare all’ultimo riposo due vite spezzate dalla mattina del 7 ottobre 2023.
    L’Ufficio del Primo Ministro ha espresso il cordoglio del governo, ricordando che Israele è “determinato, impegnato e lavora instancabilmente” per riportare a casa tutti i caduti e gli ostaggi. L’IDF ha fatto sapere che le “conclusioni definitive” sulle circostanze delle morti saranno formulate dopo gli esami di Abu Kabir: passaggi tecnici ma essenziali, la cui attesa pesa sulle famiglie come una seconda, lunga angoscia.
    La restituzione delle salme avviene in un quadro di accuse reciproche e sospetti. Israele accusa Hamas di rallentare volutamente la consegna dei corpi prevista dall’accordo di cessate il fuoco. Il Forum delle Famiglie degli Ostaggi ha espresso la speranza che “in mezzo al dolore e alla consapevolezza che i loro cuori non saranno mai più interi, questo ritorno porti una qualche misura di conforto” a chi ha vissuto “in un’incertezza e in un dubbio insopportabili” per oltre due anni.
    Amiram Cooper, 84 anni, economista, poeta e compositore, era tra i fondatori del kibbutz Nir Oz. Sua moglie Nurit, liberata alcuni giorni dopo l’attacco, ha vissuto in questi mesi una doppia ferita: la perdita del marito e la lunga attesa di risposte. Con il suo ritorno, Nir Oz ha ricordato che “755 giorni dopo la strage, non ci sono più ostaggi di Nir Oz a Gaza”: parole che condensano sollievo e una ferita ancora aperta, in una comunità che ha contato 65 vittime e rapiti che non sono tornati vivi. Il kibbutz ha descritto Cooper come “un uomo di persone e di parole, un pioniere e un uomo di valori”.
    La vicenda di Be’eri è diversa ma ugualmente segnata dall’assenza di chi non è stato ancora restituito. Sahar Baruch, 25 anni, studente di ingegneria alla Ben-Gurion University, era stato rapito mentre tentava di trovare l’inalatore del fratello asmatico. Secondo l’IDF, Baruch è morto durante un tentativo di liberazione lo scorso dicembre, ma non è stato possibile stabilire con certezza se la causa fosse stata il fuoco israeliano o l’azione dei sequestratori. Per Be’eri, che ha subito 101 vittime in quel giorno di terrore, la restituzione di Sahar non chiude ancora il cerchio: restano a Gaza i corpi di altri due membri della comunità, mentre la vita quotidiana prosegue tra alloggi temporanei e la necessità di ricostruire relazioni sociali e servizi essenziali.
    Le autorità mediche e forensi ricordano che il lavoro di identificazione è delicato e spesso lungo: prove di DNA, confronto con cartelle cliniche, analisi odontologiche. In tal senso, tra i casi più emblematici di questo momento critico c’è quello di Ofir Tzarfati, la cui famiglia è stata costretta a celebrare tre funerali. Il giovane era stato già localizzato e sepolto due volte quando, lunedì sera, Hamas ha restituito nuovi resti, inizialmente attribuiti a un altro ostaggio e poi risultati ancora una volta appartenere a lui. Per la madre, Richelle Tzarfati, questa storia sembra non avere fine. “Non esiste sofferenza umana al mondo paragonabile a questa”, ha dichiarato, descrivendo il dolore di dover riaprire più e più volte una ferita che non si rimargina.
    L’IDF ha ribadito che “le conclusioni finali” sulle circostanze delle morti saranno comunicate solo dopo il completamento degli esami ad Abu Kabir. Per le famiglie, ogni giorno in più senza risposte è un’ulteriore tortura.
    Per molte comunità colpite, da Nir Oz a Be’eri e oltre, la fine dell’emergenza militare non ha coinciso con la fine delle sue conseguenze. Case distrutte, infrastrutture rase al suolo, relazioni smembrate: la ricostruzione materiale procede insieme a quella psicologica. E mentre alcune famiglie possono finalmente chiudere, seppure nel dolore, un capitolo di attesa, altre undici rimangono ancora senza il ritorno dei propri cari.

    CONDIVIDI SU: