
Tre giorni di guerra, oltre duecento caccia, decine di droni kamikaze, centinaia di munizioni guidate e un obiettivo ben definito: smantellare le capacità nucleari e strategiche dell’Iran. È questo il bilancio – ancora provvisorio – dell’operazione “Rising Lion”, l’imponente attacco preventivo lanciato da Israele nella notte tra il 12 e il 13 giugno. Combinando potenza aerea, intelligence avanzata e tecnologie all’avanguardia, Gerusalemme ha dato il via a una delle operazioni militari più complesse e coordinate della sua storia.
L’operazione è iniziata all’alba del 13 giugno con uno sciame di micro-droni inviati da cellule speciali israeliane all’interno del territorio iraniano. Il loro compito: neutralizzare i radar e paralizzare le comunicazioni militari. Pochi minuti dopo, oltre 200 jet – inclusi numerosi F-35 – hanno attraversato lo spazio aereo ostile per colpire in simultanea più di 100 obiettivi strategici.
Tra i target: il centro di arricchimento nucleare di Natanz, basi dei Guardiani della Rivoluzione (IRGC), depositi missilistici e centri di comando a Teheran, Isfahan, Shiraz, Tabriz e Kermanshah. Secondo fonti israeliane e immagini satellitari, sarebbero stati uccisi diversi alti ufficiali e scienziati coinvolti nel programma nucleare. I danni riportati dalle strutture colpite sarebbero tali da compromettere seriamente – se non paralizzare del tutto – l’intero apparato nucleare iraniano. Il giorno successivo Israele ha proseguito con una seconda ondata di raid, mirata alla distruzione delle residue difese radar, dei sistemi antiaerei e dei centri di comando secondari, così da impedire qualsiasi coordinamento efficace della risposta militare iraniana.
Le immagini satellitari pubblicate dai media internazionali nelle ultime ore hanno confermato l’efficacia degli attacchi. I reattori di Natanz appaiono gravemente danneggiati, così come numerosi depositi missilistici e infrastrutture IRGC, ma molti altri siti – ufficiali e segreti – restano attivi e ben protetti. Lo smantellamento di Fordow, per esempio, è appena cominciato.
Nella notte tra il 14 e il 15 giugno, l’Aeronautica israeliana ha lanciato un’ondata di oltre 80 attacchi aerei su Teheran, colpendo installazioni nucleari e depositi militari. Contemporaneamente, sono stati eseguiti raid su obiettivi a Sana’a, nello Yemen. Secondo le Forze di Difesa Israeliane (IDF), i bombardamenti si sono concentrati su centri di comando, laboratori per lo sviluppo di armamenti nucleari e depositi di carburante militari.
Tra gli obiettivi principali figura il quartier generale dell’SPND, il centro di comando per il programma nucleare del regime. Complessivamente, Israele ha colpito oltre 250 obiettivi e neutralizzato 720 componenti militari nel solo territorio iraniano. I bombardamenti su Teheran proseguono con una nuova ondata di attacchi mirati a infrastrutture strategiche nella capitale.
“Teheran non è più intoccabile. La rete del terrore iraniana è ora vulnerabile agli attacchi israeliani”, ha dichiarato un portavoce militare. Sarebbero oltre venti gli alti ufficiali iraniani eliminati, grazie a informazioni dettagliate fornite dalla direzione dell’intelligence militare. Secondo diversi analisti, l’Iran avrebbe subito una “decapitazione strategica”: la catena di comando risulta frammentata e le capacità di risposta del regime significativamente compromesse.