La prima udienza del processo alla Corte dell’Aja contro Israele
È incominciata stamattina la discussione presso la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja in Olanda, dell’accusa di “genocidio” presentata dal Sudafrica contro Israele per la guerra a Gaza. Questa Corte, che non va confusa con la Corte Penale Internazionale anch’essa ospitata all’Aja, è un organo delle Nazioni Unite, con autorità su tutti gli stati che ne fanno parte. È composta da quindici giudici, nominati dall’Assemblea Generale dell’Onu secondo la consueta lottizzazione politica (quelli attuali vengono da Somalia, Cina, Slovacchia, Francia, Marocco, Brasile, Usa, Germania, Uganda, Russia, India, Giamaica, Libano, Giappone, Australia), cui si aggiungono due giudici, uno per ciascuna delle parti in causa. Israele ha nominato l’ex presidente della Corte suprema Aharon Barak. Il processo si svolge in soli due giorni; oggi ha avuto la parola il Sudafrica per esporre l’accusa, domani toccherà a Israele rispondere. In genere le sentenze arrivano dopo parecchi mesi dal dibattimento, ma la Corte ha la possibilità di emettere provvedimenti provvisori, per esempio potrebbe ordinare a Israele di interrompere l’offensiva. Si tratta di disposizioni in teoria vincolanti per tutti gli stati membri dell’Onu, ma senza la possibilità di costringerli con sanzioni o altri mezzi. In gioco è soprattutto un aspetto politico e propagandistico, che però non va sottovalutato, perché potrebbe avere influenza sull’opinione pubblica internazionale e sulle posizioni degli stati.
Che cos’è il genocidio
Che sia accusato di genocidio Israele, lo Stato che ha raccolto le vittime della Shoà e ha subito il 7 ottobre una terribile strage terrorista, con femminicidi, stupri e rapimenti di dimensioni inaudite, è ovviamente paradossale; anzi è una mossa di quella particolare tattica di guerra che avviene attraverso l’uso del diritto, la cosiddetta lawfare. Soprattutto se si considera che gli avvocati del Sudafrica hanno detto che il presunto genocidio sarebbe in atto da 76 anni, cioè dalla fondazione dello Stato di Israele. Di per sé, secondo il Sudafrica, l’esistenza di Israele sarebbe genocida, Ma il genocidio, nel senso giuridico, definito nella convenzione del 1948, voluta e scritta dall’ebreo polacco Rafael Lempkin è tutt’altra cosa: “per genocidio si intende ciascuno degli atti seguenti, commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso, come tale: a) uccisione di membri del gruppo; b) lesioni gravi all’integrità fisica o mentale di membri del gruppo; c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale; d) misure miranti a impedire nascite all’interno del gruppo; e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro.” (articolo II della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio approvata dall’ONU nel 1948).
Un rischio serio
Quel che conta qui naturalmente non sono i singoli atti (perché in qualunque scontro militare si producono “uccisioni” e “lesioni gravi”), ma “ l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”. A qualunque persona onesta e minimamente informata è chiaro che Israele non si è mai proposto di “distruggere” i palestinesi, mentre basta leggere lo statuto di Hamas (e anche quello di Al Fatah, il partito del presidente dell’Autorità Palestinese Habbas) per constatare che il loro scopo è proprio la distruzione degli israeliani ebrei, se non degli ebrei in generale. In un mondo ragionevole un’accusa di questo tipo sarebbe accolta come una follia o una barzelletta. Ma purtroppo la politica internazionale che regge anche la Corte dell’Aja non segue le leggi del buon senso e vi è un serio pericolo che l’accusa sia accolta.