Una nota che non lascia spazio a dubbi. I rabbini d’Italia
contestano quanto detto da Papa Francesco in Vaticano nell’incontro con le
famiglie israeliane e palestinesi. “Ieri l’incontro del Papa con i parenti
degli ostaggi rapiti da Hamas, da tempo richiesto e sempre rinviato, è stato
finalmente possibile perché è stato seguito da un incontro con parenti di
palestinesi prigionieri in Israele, così come riportato dal Papa, mettendo
sullo stesso piano innocenti strappati alle famiglie con persone detenute spesso
per atti gravissimi di terrorismo”, scrive il Consiglio dell’Assemblea dei
Rabbini d’Italia. “E subito dopo il Papa ha pubblicamente accusato entrambe le
parti di terrorismo. Queste prese di posizione al massimo livello seguono
dichiarazioni problematiche di illustri esponenti della Chiesa in cui o non c’è
traccia di una condanna dell’aggressione di Hamas oppure, in nome di una
supposta imparzialità, si mettono sullo stesso piano aggressore e aggredito”.
“Ci domandiamo a cosa siano serviti decenni di dialogo
ebraico cristiano parlando di amicizia e fratellanza – continua la nota – se
poi, nella realtà, quando c’è chi prova a sterminare gli ebrei invece di
ricevere espressioni di vicinanza e comprensione la risposta è quella delle
acrobazie diplomatiche, degli equilibrismi e della gelida equidistanza, che
sicuramente è distanza ma non è equa”.
A rispondere alla lettera dei rabbini, il presidente della
Cei, il cardinale Matteo Zuppi. “Il
Papa è attento e guardate che questo non è mettere tutti sullo stesso piano, il
7 ottobre è stata una tragedia, punto e basta. È stata una tragedia. E quindi
l’attenzione, la condanna. Poi c’è quello che sta succedendo a Gaza, perché il
Papa chiede il cessate il fuoco? Perché c’è una sofferenza terribile, e
guardando lontano mi sembra che spinga per un’altra soluzione perché si
combatta davvero il terrorismo, togliendo tutto ciò che per certi versi
paradossalmente lo può giustificare. 7 ottobre punto. Questa è la posizione del
Papa e non è che non capisce le motivazioni del governo israeliano”,
spiega il capo dei vescovi italiani.
Che l’incontro di ieri non fosse andato per il verso giusto
si era capito anche quando la Santa Sede si è trovata a dover smentire il fatto
che Francesco avesse usato il termine genocidio per descrivere la guerra a
Gaza. A Santa Marta il pontefice ha visto dodici parenti di ostaggi israeliani
detenuti da Hamas, poi nell’Auletta Paolo VI dieci palestinesi con “parenti
prigionieri di Israele”, una definizione quella del Papa che ha scatenato
accese contestazioni nel mondo ebraico. Una ventina di minuti per ciascuno dei
gruppi per sottolineare che “il popolo palestinese, il popolo di Israele,
hanno il diritto alla pace, hanno il diritto di vivere in pace”, sono
“due popoli fratelli”, come dirà in un video-appello per la pace in
tutte le lingue, compreso l’arabo e l’ebraico.
Una giornata segnata dalla delusione degli israeliani perché
Papa Francesco ha parlato di terrorismo senza fare distinzioni. In più la
delegazione dei palestinesi – che ha invitato il Papa a recarsi di persona a
Gaza – riferisce che il Pontefice ha concordato con loro sul fatto che il
popolo palestinese subisca “un genocidio”. Una ricostruzione
dell’incontro che viene però smentita, a stretto giro, dal Vaticano. E anche il
cardinale Segretario di Stato, Pietro Parolin, la definisce “irrealistica”.
Critiche subito dopo l’incontro sono arrivate dalla
presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche italiane, Noemi Di Segni:
“Il Papa mette tutti sullo stesso piano di partenza e di arrivo. Ma la
partenza è il terrore che esegue il disegno di sterminio degli ebrei nel mondo
intero mentre la guerra è necessaria alla difesa di Israele e della sua
popolazione. Comporta sofferenza ma alle vittime va associato chi è il vero
responsabile”. “Non ci può essere nessuna equivalenza tra Hamas che è
un’organizzazione terroristica e si fa scudo dei civili e Israele che difende i
civili”, dice Nadav, uno dei familiari degli ostaggi israeliani dopo
l’incontro con il Papa. “Delusione” è stata espressa da un altro
parente, Yehuda, perché il Pontefice “non ha nominato Hamas e non ne ha
parlato come di un’organizzazione terroristica. Ha detto solo che la guerra
deve finire”.