“Abbiamo assistito alla vittoria politica più clamorosa di Netanyahu dal 1996, in termini numerici per il gap tra gli schieramenti. Eppure – osserva il giornalista Aviv Bushinsky, ex consigliere per i media di Benjamin Netanyahu – a guardare i risultati, il Likud non è cresciuto poi tanto ma ha sostanzialmente conservato il suo potere. Il vero fenomeno di queste elezioni è stato Itamar Ben Gvir”.
Stella nascente nella politica israeliana, nelle elezioni del 2021 l’allora leader di Otzma Yehudit si era candidato in una lista congiunta con il Partito Sionista Religioso di Bezalel Smotrich, secondo un accordo orchestrato e favorito da Netanyahu, meritando un seggio su sei. Oggi HaZionut HaDatit viaggia verso i 14 seggi, più che raddoppiando la presenza alla Knesset.
Avvocato, 46 anni, Ben Gvir è un personaggio controverso, accusato dalla sinistra di razzismo e incitamento all’odio. Nel nuovo esecutivo guidato da Netanyahu, punta al ministero della pubblica sicurezza. Tra le sue promesse elettorali, l’annessione dell’intera Cisgiordania, regole più morbide sull’apertura de fuoco per soldati e agenti di polizia, la possibilità per gli ebrei di pregare liberamente sul Monte del Tempio a Gerusalemme e il ridimensionamento dei poteri della Corte Suprema nei riguardi delle leggi votate dalla Knesset.
Quali fattori hanno concorso ad accelerare la sua carriera politica in questa campagna elettorale? “In tutta la Knesset, il suo partito è stato l’unico capace di veicolare un messaggio chiaro”, spiega Bushinsky. “Possiamo anche discutere sulla bontà delle sue posizioni, ma ha saputo esprimerle con semplicità. Ed ecco perché – insiste l’ex capo dello staff di Netanyahu – ha conquistato soprattutto l’elettorato più giovane”.
I tre elementi sostanziali su cui Ben Gvir ha puntato sono la carenza di sicurezza interna, un atteggiamento giudicato troppo a favore degli Arabi dell’attuale governo e la presa di distanza da Netanyahu di alcuni principali leader della destra. “Di nuovo, si può discutere se Ben Gvir abbia soluzioni migliori – ribadisce l’analista Bushinsky – ma lui è riuscito a toccare i nervi scoperti dell’elettorato”.
Quasi elencasse le vittime di una maledizione che colpisce chi volta le spalle a “King Bibi”, il suo ex media advisor ricorda cosa è accaduto a chi ha sacrificato la propria ideologia per predicare contro Netanyahu a ogni costo. Da Avigdor Lieberman a Benny Gantz, da Gideon Saar a Naftali Bennett, lo slogan “tutto tranne Netanyahu” alla lunga si è ritorto contro chi l’ha perseguito. Chi avrebbe dunque dovuto votare un elettore laico di destra, che non si identifica nei partiti ultra religiosi, che non riesce a sorvolare sul processo a Netanyahu e magari prova antipatia per Sara, ora che Bennett, Lieberman, Gantz e Saar si sono spostati in altri territori? Come l’uomo giusto al momento giusto, è arrivato Ben Gvir a raccogliere tutte quelle preferenze.
Alcuni in Israele, stanno lanciando un grido d’allarme, profetizzando la fine della democrazia. Ma una cosa è la campagna elettorale, suggerisce Bushinsky, un’altra è la realtà. “Non credo che le aspirazioni di Ben Gvir finiscano qui. In due o tre anni Netanyahu potrebbe non essere più la star che è oggi”, sostiene il giornalista. Potrebbe scomparire fisicamente, per il risultati del processo, o biologicamente, per questione di età o di salute. Nel “day after” Netanyahu potrebbe esserci posto per Ben Gvir. E se Ben Gvir nutre aspirazioni politiche fino a quella di diventare Primo Ministro, osserva Bushinsky, “dovrà ammorbidire le sue vedute e andare gradualmente dall’estrema destra verso il centro destra e fermarsi lì. Quindi non credo che metterà in pratica le sue idee più estreme. Non gioverebbe alla sua carriera politica”.