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    ISRAELE

    Gli errori e le responsabilità del 7 ottobre

    Dopo ogni guerra, Israele ha sempre istituito delle commissioni di inchiesta per individuare gli errori commessi, i loro responsabili e imparare da ciò che era accaduto; lo farà certamente anche questa volta: un’inchiesta è ancor più necessaria, perché un anno fa Israele si è fatto prendere di sorpresa e impreparato dall’assalto terrorista, pagando un costo altissimo per questo. Lo stesso primo ministro Bibi Netanyahu, in un’intervista al TIME, ha riconosciuto la responsabilità, scusandosi, dicendo di essere profondamente dispiaciuto per quanto avvenuto.
    Senza anticipare i risultati dell’inchiesta e le reazioni dell’elettorato israeliano, bisogna prendere atto che ci sono stati errori e responsabilità. Parlarne non vuol dire naturalmente ignorare il fatto fondamentale di questa guerra: che Israele l’ha subita e non certo voluta, che la responsabilità morale e politica di tutte le morti e le distruzioni anche di quelle degli arabi di Gaza, ricade su chi ha deciso un anno fa di invadere Israele, sterminare, violentare e rapire i suoi cittadini inermi, di bombardare per mesi le città israeliane: Hamas, gli altri gruppi terroristici, gli arabi non inquadrati (“civili innocenti”) che hanno invaso le comunità di confine; e poi Hezbollah, gli Houti e innanzitutto l’Iran.
    Ma il fatto che la colpa sia dei terroristi aggressori non cancella la responsabilità di chi in Israele aveva il compito di prevenirle. Senza parlare della conduzione vera e propria della guerra, ma ragionando schematicamente all’indietro dal 7 ottobre, si devono distinguere diversi livelli di responsabilità. Il più vicino ai fatti è la disorganizzazione tattica che impedì una reazione efficace all’attacco terrorista: in seguito a un allarme nella notte fra il 6 e il 7, in una veloce riunione telematica prima dell’alba, cui partecipò anche il capo di stato maggiore Herzi Halevi si decise che non c’era urgenza, si poteva attendere il giorno dopo, senza avvertire i politici e mettere in allarme i militari al confine. Questi erano pochi, in parte non armati (il personale di osservazione elettronica), non in posizione di combattimento. Furono facilmente sopraffatti dalle migliaia di terroristi. Non c’erano riserve pronte e, a parte l’azione eroica di qualche singolo, la reazione israeliana venne solo dopo molte ore e in maniera piuttosto confusa.
    Facendo un passo indietro, questa impreparazione è conseguenza di un’erronea valutazione della “deterrenza” che, lo Stato Maggiore riteneva, Israele aveva ottenuto nei confronti di Hamas con le operazioni precedenti. Molte segnalazioni provenienti dai militari che seguivano le attività dei terroristi, furono ignorate o addirittura represse dai dirigenti del servizio di informazione militare (Haman) e da quello civile (Shin Bet). La barriera di sicurezza intorno a Gaza era progettata per dare l’allarme su incursioni di piccoli gruppi e non per resistere a un’offensiva organizzata di massa giudicata impossibile. Anche i numerosi preparativi mascherati da manifestazioni di massa non suscitarono il giusto allarme per la pretesa deterrenza, che suggerì anche di tagliare le forze di fanteria e dei carristi a favore dell’aviazione (la cosiddetta “riforma Gantz”). Vi sono poi due livelli contestuali. Uno è quello delle manifestazioni contro la riforma giudiziaria, con i numerosi casi di rifiuto del servizio, soprattutto nell’aeronautica e nei servizi elettronici, che certamente diedero ai terroristi il senso di affrontare uno stato diviso e indebolito. Ancora più indietro vi è la politica, adottata da tutti i governi fino dal colpo di stato del 2007 di non cercare di eliminare Hamas da Gaza, sia perché si temeva che il vuoto di potere sarebbe stato più pericoloso, sia per dividere il fronte palestinista.
    Per tutti questi livelli e per la conduzione successiva della guerra la commissione di inchiesta dovrà assegnare responsabilità precise e personali, al di là delle dimissioni che sono state già preannunciate o presentate. È probabile che quando arriverà la pace vi sia un ricambio profondo. nei vertici politici e militari di Israele.

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