
“Ma questi israeliani sono completamente pazzi” mi ha gridato al telefono una parente milanese incastrata a Tel Aviv per via dei missili balistici iraniani. “Un attimo prima suonano le sirene e corrono nei bunker, un attimo dopo tornano alle loro vite come se nulla fosse. Devi vedere la spiaggia, è piena di ragazzini che giocano a pallone”. Riaggancia, ancora in preda al panico, il suono sgradevole dei missili intercettati riecheggia ormai lontano. Io mi fermo a riflettere.
Ha ragione lei? Gli israeliani sono davvero completamente pazzi? Forse. O forse, più che pazzi, sono genuinamente ottimisti. Un popolo sognatore abituato a vedere il bicchiere mezzo pieno. “Hey, dopo duemila anni di persecuzioni siamo tornati a casa, abbiamo costruito uno Stato all’avanguardia e, soprattutto, siamo ancora vivi”. Ingenui o ottimisti? Ottimisti, decisamente ottimisti. Genuinamente, innatamente, instancabilmente ottimisti.
O, forse, sono inesorabilmente abituati a vivere una realtà di guerra. Sin da bambini soliti a familiarizzare con il suono della sirena che annuncia una raffica di missili lanciati da Gaza, dal Libano, dallo Yemen, dall’Iran. Tragicamente addestrati a correre nei bunker in tempi record, interrompendo a metà il sonno, il lavoro, la doccia, l’amore. In un attimo raccolgono tutta la loro vita, e corrono. Sì, probabilmente sono semplicemente, tristemente abituati alla guerra. Al primo suono della sirena, vai in panico. Al centesimo quasi non ci fai più caso.
O forse no. Forse non ci si abitua mai alla guerra, alla distruzione, alla morte, alla disperazione, al lutto. Forse, anzi sicuramente, gli israeliani sono resilienti. Un popolo resiliente, ecco, convinto che piangersi addosso non serva a niente. Che sia molto più utile e producente rimboccarsi le maniche e ricostruire ciò che è andato distrutto. Continuare ciò che è stato interrotto. Un istinto potente come l’istinto di vita. Anzi, forse è proprio l’istinto di vita, che si manifesta oggi in tutto il suo potente e abbacinante splendore.
Vi sono stati infatti innumerevoli piccoli e grandi episodi di resilienza nei dodici giorni di guerra tra Iran e Israele, che hanno commosso l’opinione pubblica e avvicinato persino la leadership così testardamente frammentata. Immagini diventate virali, che hanno riacceso la speranza lì dove il buio incombeva. Ad esempio, l’immagine di una giovane poliziotta, Aviv Saranga, con in braccio una neonata di appena due mesi. Alle loro spalle, un edificio del tutto distrutto. Aviv si è addentrata con coraggio in metri di gesso, legno e cemento, salvando così la vita di una piccola, minuscola vita innocente.
E ancora, all’indomani della grande esplosione nella città di Ramat Gan, per sollevare gli animi dei cittadini terrorizzati, un gruppo di volontari si è recato nei luoghi di distruzione e ha coperto le grige macerie con delle grandi bandiere d’Israele blu e bianche. Intanto, nei bunker condominiali, decine e decine di bambini hanno festeggiato i loro compleanni con i vicini di casa, che a loro volta hanno contribuito ai festeggiamenti portando torte, bevande e dolciumi di ogni tipo.
E ancora, dopo che un missile balistico iraniano ha colpito una moschea a Haifa, un fedele musulmano lì presente ha rilasciato un’intervista televisiva e a chiesto di rivolgersi ai suoi connazionali di religione ebraica. “Ricordatevi sempre che siamo un unico popolo con un unico Stato, un’unica sorte e un unico destino” ha dichiarato. E non è il solo. Un altro appello televisivo ha commosso milioni di israeliani.
In seguito alla perdita inestimabile causata dalla caduta di un missile sul padiglione dedicato alla ricerca della cura per il cancro dell’Istituto Weizman per la Scienza, un giornalista ha intervistato il rettore dell’Istituto e gli ha domandando cosa intende fare ora che tutto è andato distrutto.Il rettore ha risposto con semplicità: “Ricostruiremo il padiglione e ricominceremo le nostre ricerche per trovare una cura al cancro”.
Tuttavia, la vera eroina della guerra è una ragazza occhialuta con indosso gli shorts e una magliettina blu. Uno scatto rubato che la ritrae ha infatti fatto il giro del web, regalando un sorriso a migliaia di israeliani in lutto. Perché? Beh, nello scatto rubato in questione, la giovane ragazza cammina sulle macerie di quella che un tempo era stata casa sua: nella mano destra tiene un mazzo di fiori dai petali viola e nella mano sinistra impugna l’aspirapolvere robot. Ai media locali ha poi raccontato che nel breve attimo in cui ha dovuto decidere quali effetti personali mettere in salvo e portare con sé nel bunker, ha scelto proprio i due oggetti a lei più cari. “I fiori che mi ha regalato mio marito questa mattina e la mia amata, inseparabile aspirapolvere. Non ho bisogno di altro per ricostruire la mia vita”.
Ecco, questa è resilienza. Questa è Israele.