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    ISRAELE

    Dalla fake news al fact-checking: il ritardo che favorisce le bugie di Hamas

    Nelle scorse ore il Washington Post ha pubblicato una rettifica a un articolo che, soltanto due giorni prima, riportava che “oltre 31 palestinesi erano stati uccisi dalle forze israeliane nei pressi di un centro di distribuzione di aiuti a Gaza”, citando come fonte generici “funzionari sanitari”.
    Si trattava di un pezzo molto letto – oltre due milioni di visualizzazioni – che, come ammesso dallo stesso quotidiano americano, non rispettava “gli standard di imparzialità del Post”. In un post pubblicato su X, il giornale ha spiegato che non era stato chiarito se l’attribuzione delle morti a Israele fosse una ricostruzione fornita dal Ministero della Salute di Gaza, sotto il controllo diretto di Hamas, o il frutto di verifiche indipendenti. Pur riportando anche la versione israeliana – secondo cui un’indagine preliminare dell’IDF indicava che i soldati non avevano aperto il fuoco sui civili – l’articolo non dava adeguato spazio a questa smentita, offrendo invece “un grado di certezza ingiustificato” sul coinvolgimento israeliano.
    Ma ormai la notizia aveva già fatto il giro del mondo. E non solo sulle pagine del Washington Post. Titoli simili a quello del Post sono stati rilanciati in prima serata da CNN, BBC, Sky News e altri media internazionali. In Italia, ad esempio, i principali quotidiani hanno rilanciato la notizia con titoli molto netti e poco sfumati. Un quotidiano ha titolato: “Caos degli aiuti umanitari: oltre trenta morti e 200 feriti”, mentre un altro apriva con: “Spari sui palestinesi in coda per gli aiuti: la tregua si allontana”. Anche un’altra testata parlava di “Spari sulla folla in cerca di aiuto e cibo”, con la protezione civile della Striscia che accusava l’esercito israeliano. Un altro giornale, infine, definiva la vicenda “una strage al centro degli aiuti”, parlando di un “giallo sul responsabile”, ma solo dopo aver riportato le gravi accuse iniziali.
    In quasi tutti questi casi, il pattern è stato simile: in apertura veniva riportata la versione di Gaza, mentre la smentita dell’IDF – o la precisazione della Gaza Humanitarian Foundation (GHF), l’organizzazione che gestisce il centro di distribuzione – veniva menzionata solo più avanti, in fondo agli articoli o nei pezzi successivi online.
    Eppure, proprio la GHF ha smentito categoricamente che siano avvenuti scontri o che vi siano state vittime: “Tutti gli aiuti sono stati distribuiti senza incidenti. Non ci sono stati feriti né vittime. Le notizie contrarie sono false e fomentate attivamente da Hamas”, ha affermato in un comunicato ufficiale. A supporto di questa versione ci sono anche le riprese delle telecamere di sicurezza, che mostrano una distribuzione regolare, senza disordini. L’IDF, da parte sua, ha dichiarato di aver sparato solo colpi di avvertimento nei pressi di un checkpoint distante circa 500 metri dal centro GHF, ma ha escluso di aver aperto il fuoco contro civili, in particolare all’interno del centro di distribuzione.
    Il problema – ancora una volta – è stato il tempo. La smentita dell’esercito israeliano è arrivata dodici ore dopo i primi lanci, troppo tardi per bilanciare il peso della notizia iniziale. In un ciclo mediatico dominato dalla velocità, le prime versioni restano spesso le uniche ad essere ricordate. È quello che è accaduto con il Washington Post, dove la rettifica è arrivata solo quando il pezzo aveva già raggiunto milioni di lettori, consolidando una narrazione difficile da smontare a posteriori.

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