Le autorità israeliane hanno annunciato la chiusura della tomba di Giuseppe, uno dei luoghi dell’ebraismo che si trova alla periferia di Nablus in Cisgiordania. Lo riferisce il Jerusalem Post ricordando che l’annuncio è stato dato prima della prevista visita mensile, che avrebbe avuto luogo lunedì per l’inizio del digiuno della festività di Purim. “A seguito di consultazioni tra il capo del tribunale regionale della Samaria Yossi Dagan, responsabili dell’IDF (Esercito) e coordinamento con il rabbino Elyakim Levanon dell’Elon Moreh Yeshiva, è stato deciso di rinviare la visita mensile”, riferisce il quotidiano.
La tomba si trova nei territori sotto amministrazione palestinese. Nell’ottobre del 2000 durante la Seconda “intifada” una folla di palestinesi bruciarono e fecero a pezzi l’edificio, che venne ristrutturato solamente nel 2010.
Giuseppe fu il dodicesimo e penultimo figlio di Giacobbe, a sua volta nipote di Abramo, una delle figure più importanti dell’Antico testamento e della tradizione ebraica. Secondo la Bibbia, Giuseppe divenne il favorito di Giacobbe e questo provocò la gelosia dei suoi fratelli maggiori, che un giorno per sbarazzarsi di lui lo vendettero a un mercante di schiavi. Giuseppe finì a lavorare come schiavo per un ufficiale del faraone d’Egitto, ma dopo varie vicissitudini si guadagnò la fiducia dello stesso faraone grazie alla sua abilità nell’interpretare i sogni (riuscì a prevedere con largo anticipo una grave carestia che avrebbe colpito l’Egitto). Giuseppe fu così tanto apprezzato dal faraone che fu nominato “governatore” d’Egitto: anni più tardi, quando i suoi fratelli andarono in Egitto per cercare del cibo durante la carestia, Giuseppe li riconobbe e alla fine li perdonò per averlo venduto. Al momento della morte, Giuseppe chise che le sue spoglie fosse portate in Israele. Quattrocento anni dopo, al termine della schiavitù, Mosè recuperò la salma di Giuseppe e la portò nel lungo viaggio verso la Terra promessa.