Il Festival di Israele di quest’anno assume una nuova dimensione di riflessione e rinascita, piuttosto che di celebrazione, alla luce delle tragedie che hanno sconvolto il Paese a partire dal 7 ottobre. Nonostante la guerra in corso con Hamas e la crisi degli ostaggi, l’evento annuale continua a occupare un ruolo importante nel calendario culturale israeliano.
Dal 10 al 28 settembre, artisti e creativi locali si esibiranno a Gerusalemme e nel Negev occidentale, trasformando il dolore in arte, positività e speranza. Questo festival è unico, si concentra su temi di guarigione e resilienza e offrirà una prospettiva toccante sulla realtà vissuta dagli israeliani negli ultimi mesi. Infatti, i luoghi in cui si svolgerà il festival saranno l’epicentro del massacro compiuto dal gruppo terroristico di Hamas, durante il quale hanno perso la vita circa 1200 persone.
“Abbiamo affrontato la dissonanza tra l’essenza stessa della parola ‘festival’ e la dura realtà che stiamo vivendo”, ha dichiarato Eyal Sher, direttore del Festival di Israele. “Abbiamo organizzato l’evento con la profonda convinzione nel ruolo e nella capacità unica dell’arte di rimarginare le ferite, offrendo la possibilità di immaginare uno spazio di sogni e speranza per un futuro condiviso.”
Allo stesso modo, i produttori artistici, Itay Mautner e Michal Vaknin, si sono impegnati, insieme ai residenti delle comunità meridionali vicine alla Striscia di Gaza e ai vari artisti, a creare un programma idoneo a rappresentare gli avvenimenti tragici che hanno travolto le vite di migliaia di famiglie.
Le città di Sderot e Ofakim, il Kibbutz Dorot e Eshkol, insieme a Gerusalemme, la sede tradizionale del festival, sono i luoghi scelti per lo svolgimento delle performance.
A differenza degli anni passati però, quest’anno il festival avrà un carattere più intimo, concentrandosi esclusivamente su esibizioni ed eventi locali, non includendo dunque artisti internazionali.
La serata inaugurale del Festival di Israele avrà luogo a Sderot il 10 settembre, con un’esibizione di danza intitolata “7 Boom” di Liat Dror, la quale esplora l’instabilità della città, dove il rumore dei razzi è ormai quotidianità. Un’altra performance dell’evento sarà “HaYelala”, prodotta da un gruppo di artisti del nord di Israele, i quali si esibiranno e canteranno sui loro vari stati di coscienza. Inoltre, l’evento includerà “Windless”, un’installazione sonora di Yaniv Shenzer, che ha raccolto frammenti di razzi sparati contro Israele trasformandoli in campane eoliche.
Oltre a “One Day”, evento di 24 ore nel quale si esibiranno alcuni tra i più importanti artisti del paese, vi sarà “Music People”, un progetto sociale per artisti professionisti in collaborazione con alcuni musicisti del sud e del nord.
“Cantiamo per loro, le persone della musica.” Questo il commento da cui prende nome l’evento, a seguito della dedica fatta da Bono degli U2 in ricordo di coloro che sono stati uccisi al rave nel deserto di Supernova.
Tra le due esibizioni di “Music People”, che si svolgeranno sia a Gerusalemme che nel Kibbutz Dorot, non ci saranno solo cantanti già molto celebri, ma anche giovani emergenti, tra cui Talia Dancyg, nipote dell’ostaggio Alex Dancyg, ucciso in cattività da Hamas.
Il podcast di Kan “One Song” si trasformerà in uno spettacolo dal vivo con otto musicisti, presentando tre canzoni che sono diventate inni alle difficoltà della vita in Israele, tra giorni di estrema tristezza e momenti di speranza. La coreografa Yasmeen Godder e la cantante Dikla si incontreranno a Gerusalemme per eseguire “Love Music (Now!)”; l’artista tedesco VolkerGerling offre invece uno sguardo compassionevole, sensibilità e umorismo in “Portraits in Motion”, una performance teatrale che racconta una storia attraverso le sue fotografie.
Inoltre, nel Consiglio regionale di Eshkol e a Gerusalemme, un gruppo di attori, tra cui sopravvissuti e sfollati del Teatro Otef Hanegev, si esibirà nell’opera “A Place to Live”, esplorando i viaggi dei residenti della zona di Gaza. In “Living with What We Have”, il tema principale sarà la perdita, esposto dalla scrittrice e drammaturga Rabbi Delphine Horvilleur, dall’insegnante e attivista Chaya Gilboa e dalla musicista Sivan Talmor.
Infine, l’opera del drammaturgo Roee Joseph, “Shura”, cerca di dare un senso ai 60 giorni trascorsi in servizio di riserva nella base militare di Shura identificando le vittime delle atrocità del 7 ottobre per poterle seppellire.
Attraverso dunque le varie performance, installazioni e progetti sociali, il Festival di Israele offre una risposta creativa alle difficoltà, dimostrando la forza e la determinazione della comunità israeliana di fronte all’avversità.