Nel
1936 il noto fisico Albert Einstein inviò una missiva al suo amico Bruno
Eisner, pianista ebreo austriaco, in cui denunciava il crescente antisemitismo
negli Stati Uniti, specialmente nel mondo accademico: “Non assume mai la forma
di un discorso o di un’azione brutale, ma ribolle ancora più intensamente sotto
la superficie. È, per così dire, un nemico onnipresente, impossibile da vedere
e di cui solo percepisci la presenza”.
Quando
i nazisti salirono al potere nel 1933, attuarono una serie di operazioni per
arginare gli ebrei e rimuoverli dalle posizioni di influenza nella società
tedesca. Fu impedito loro, ad esempio, di ricoprire cariche pubbliche, tra cui
quelle universitarie. Una discriminazione che colpì in particolare i fisici
ebrei, tanto che la celebre teoria della relatività di Einstein fu liquidata
come “fisica ebraica”.
Perciò
Einstein, che durante l’ascesa del nazismo era fuori dal paese per delle
conferenze, decise di stabilirsi a Princeton (New Jersey) rinunciando alla
cittadinanza tedesca. Fu insegnante presso l’Institute for Advanced Study della
Princeton University, ed è in quella città che spedì la missiva ad Eisner. Ci
rimase fino alla sua morte, avvenuta il 18 aprile 1955.
“La
lettera fa luce su un aspetto meno noto della vita di Einstein negli Stati
Uniti – ha detto Meron Eren, CEO e co-fondatore della Kedem Auction House di Gerusalemme –
Serve come importante promemoria del fatto che le società liberali non sono
immuni da questa malattia e che dobbiamo sempre rimanere vigili contro ogni
forma di razzismo”.
La
lettera si chiude con i saluti della moglie Elsa, all’epoca gravemente
malata.