Era il 28 Iyar 5727, il 7 giugno del 1967, nel bel mezzo della Guerra dei Sei Giorni, quando Motta Gur, generale del 55° brigata Paracadutisti dell’esercito israeliano, disse queste parole ormai impresse nella memoria di ogni ebreo, “Il Monte del Tempio è nelle nostre mani” (“Har HaBayit BeYadeinu – הר הבית בידינו).
Con questa frase il generale aveva decretato la fine di un’aspra battaglia per le strette vie della Città Vecchia di Gerusalemme, riunificandola e facendo sì che diventasse “capitale unica e indivisibile” dello Stato d’Israele.
Moltissime sono le storie su questa giornata, da quella dei tre soldati della foto di David Rubinger fino a quella di Yoram Zamush, comandante della unità che per prima arrivò in cima al Monte del Tempio e issò la bandiera dello Stato ebraico sulla sommità del Muro Occidentale, la cui storia è stata trasmessa durante la diretta della cerimonia di celebrazione. Un momento che tutt’ora emoziona Zamush, riconoscendo l’importanza di quel gesto non solo per lo Stato d’Israele, ma per tutto il popolo ebraico.
Un anno dopo la riunificazione di Gerusalemme è stato istituito proprio il 28 di Iyar come Yom Yerushalayim, giorno in cui si festeggia questa giornata storica.
In occasione del 53° anniversario, il Municipio di Gerusalemme ha organizzato varie attività in linea con le rigide regole del distanziamento sociale e una cerimonia in forma ridotta, ma non per questo toccante ed emozionante, al Kotel HaMaaravì (il Muro Occidentale, meglio conosciuto come Muro del Pianto).
La diretta è stata trasmessa in diretta oltre che nelle tv israeliane, anche su tutti i social network.
Rabbi Shmuel Rabinowitz, rabbino capo del Muro Occidentale e dei luoghi sacri, ha ricordato come questo giorno non è solamente una festa d’Israele, ma “questa è la festa della città che il popolo ebraico ha sempre impressa nei suoi pensieri, la nostra capitale eterna – Gerusalemme. La città santa in cui abbiamo pregato e sperato di tornare durante 2000 anni di esilio”. Nel suo discorso ha sottolineato come “la nostra generazione abbia il privilegio di essere in grado di elevare Gerusalemme al culmine della nostra gioia e di diffondere una benedizione di pace e solidarietà in tutto il mondo”.
“Durante questi giorni di quarantena forzata a causa del coronavirus, vogliamo raggiungere e toccare il cuore di tutti” ha detto Moshe Leon, sindaco di Gerusalemme, durante la cerimonia, ribadendo l’importanza del fatto che questa sia un giorno di gioia non solo nello Stato ebraico, ma anche in tutte le comunità ebraiche nel mondo.
La cerimonia è stata anche la prima apparizione pubblica di un membro del nuovo governo, Rabbi Rafi Peretz, Ministro degli Affari e del Patrimonio di Gerusalemme, che ha iniziato il suo nuovo ruolo proprio durante il Jerusalem Day. “Duemila anni di esilio e il desiderio per la nostra capitale sono stati come un’eternità per il popolo ebraico” così ha esordito il ministro Peretz, ricordando l’importanza di Gerusalemme per il popolo d’Israele, “ovunque risiedessero nel mondo, gli ebrei sapevano sempre che Gerusalemme, la città che unisce tutti, li stava aspettando in Terra Santa”. Ha concluso il suo discorso con un augurio: “Possa questa nazione continuare ad assorbire la luce di Gerusalemme per sempre. Nonostante i limiti, continuiamo a celebrare ed essere felici con la nostra capitale e la nostra nazione”.
La cerimonia dopo la preghiera serale, l’Arvit, officiato dal Cantore Shai Abramson alla presenza dei Capo Rabbini di Israele, si è conclusa con il sollevamento di una grande bandiera come simbolo della tradizionale Flag Dance, che a causa del coronavirus non si è potuta svolgere, e con canti e balli.