Nell’ultima settimana sono apparsi sui giornali italiani diversi articoli che anticipavano una proposta italo-spagnola per un’iniziativa europea in favore di negoziati di pace fra Israele e l’Autorità Palestinese. “Shalom” ne ha parlato con Gianni Vernetti, uno dei politici e degli intellettuali italiani più autorevoli sul Medio Oriente: già sottosegretario agli esteri nel secondo governo Prodi, è stato editorialista della “Stampa” e ora scrive di politica estera per “Repubblica”.
Gianni Vernetti, che cosa pensa di questa iniziativa?
“Bisogna fare qualche premessa per capire di che cosa stiamo parlando. L’iniziativa italo-spagnola nasce alla vigilia di un anniversario importante: il 30 ottobre del 1991, trent’anni fa, ci fu la conferenza di Madrid in cui per la prima volta si svolsero discussioni di pace fra Israele e rappresentanti palestinesi. Fu un passo decisivo che portò due anni dopo alla firma degli accordi di Oslo. L’intenzione di prendere spunto da quel dialogo per far ripartire oggi il processo di pace mi sembra positiva. L’altra cosa di cui bisogna tener conto è che oggi l’Europa è il principale donatore dell’Autorità Palestinese, tanto dal punto di vista finanziario che dei servizi. Dico questo al di là delle osservazioni che si possono fare su come tali aiuti siano impiegati. Con Israele l’Europa ha un interscambio importante non solo sul piano commerciale, ma anche su quello scientifico, tecnico, della difesa. Israele è uno stato democratico, con stampa libera, giustizia indipendente e standard politici del tutto allineati a quelli degli stati democratici, che l’Europa non può non considerare un interlocutore pienamente legittimato. Dunque l’ambizione dell’Unione Europea di dialogare con tutti in questo contesto e di essere protagonista nella ripresa del processo di pace non è affatto infondata. Dal mio punto di vista si tratta di un’intenzione positiva, che può aiutare a far progredire la situazione regionale.”
Si sono anticipati anche alcuni contenuti del progetto. Si propone il riconoscimento dei cosiddetti “confini del ‘67” e la condivisione della capitale Gerusalemme.
“Non mi sembra che sia un’idea realistica. Ristabilire le linee di divisione che valevano prima del 1967 è un progetto anacronistico. La storia determina evoluzioni, cambiamenti che non possono essere disconosciuti. Oggi di fatto quei confini non dividono più territori disomogenei, la situazione è profondamente cambiata. Partire da questa idea vuol dire incoraggiare una rigidità palestinese e impedire ogni progresso. Bisogna aggiungere che Israele ha superato quelle linee durante la Guerra dei Sei Giorni, difendendosi da un’aggressione che ne minacciava l’esistenza stessa. Era un’aggressione che aveva lo scopo dichiarato di farlo sparire e di cacciare in mare tutta la popolazione ebraica. Questo è un fatto storico determinante.”
Per quanto riguarda Gerusalemme?
“Io credo che in un contesto di piena pacificazione dello statuto di Gerusalemme si potrebbe parlare. Ma oggi il tema è certamente prematuro.”
Dunque la proposta italo-spagnola è poco realistica.
“E’ poco realistica soprattutto per quel che le manca. Negli ultimi due anni c’è stata una grande novità positiva per il Medio Oriente, gli ‘Accordi di Abramo’. Con questi accordi si è visto un cambiamento significativo di atteggiamento di una parte importante del mondo arabo: Emirati, Bahrein, Sudan, Marocco, che si può estendere ad altri. Questa parte del mondo arabo non ritiene più che la nascita di Israele sia stata una “catastrofe”, come dice l’uso della parola Nakbah da parte dei palestinesi, ma anzi ritiene che gli ebrei abbiano il pieno diritto a un loro stato in Medio Oriente e che con essi sia utile collaborare sul piano economico, tecnologico, politico e anche militare. Si sono aperte ambasciate, sono partiti progetti comuni, collegamenti aerei. E’ paradossale che questi accordi siano nati anche a causa delle minacce che l’Iran fa tanto a Israele che a questi stati.”
Dunque anche dopo il cambio di amministrazione americana bisogna partire da questi accordi?
“Sì, si tratta di una grandissima opportunità, la prima apertura dopo trent’anni. Ogni progetto di pace deve proseguire su questa strada, evitando di alimentare gli irrigidimenti e di tornare indietro, rinunciando al progresso in corso.”
Ma l’Autorità Palestinese è pronta per questa prospettiva?
“L’autorità palestinese è in un momento molto difficile. Metà dei suoi territori sono sotto il dominio di Hamas, un gruppo riconosciuto come terrorista anche da parte dell’Unione Europea, che governa con violenza, non tollera alcun dissenso e risponde sul piano internazionale alle politiche aggressive dell’Iran. L’altra metà è in mano a Fatah. Senza entrare nei dettagli basta pensare che da 15 anni non riescono a tenere le elezioni.”
E secondo lei che cosa si dovrebbe fare?
“La comunità internazionale dovrebbe fare uno sforzo di realismo e non farsi condizionare dalle retoriche che guardano al passato. Deve sostenere un processo di pace che parta dagli accordi di Abramo e che non faccia il gioco dell’Iran e dei suoi satelliti.”