
La festa di Chanuccà capita sempre durante il periodo in cui in tutti i Templi si leggono i passi che raccontano il difficile rapporto tra Yosèf e i fratelli, un rapporto famigliare che si concluderà con la vendita dell’amato figlio di Yaakòv. Il Talmùd, seppure in modo non esplicito, ritiene che vi possa essere un legame tra la festa di Chanuccà e la storia di Yosèf. Leggiamo il piccolo passo:
Spiegò rav Natàn bar Miniomì a nome di Rabbì Tnchùm: “Un lume di Chanuccà, se posto più in alto di 20 braccia, non è valido”. Ancora spiegò rav Natàn bar Miniomì: “Che cosa significa il versetto che dice: il pozzo nel quale fu buttato Yosèf dai fratelli era vuoto, non c’era acqua? Di acqua non ce n’era ma era colmo di serpenti e scorpioni”.
Per cercare di trovare un legame tra i due avvenimenti riporteremo in seguito il pensiero di rav Kuk (1865 – 1935), tra i più grandi pensatori del secolo precedente e il Rabbino capo di Israele durante il mandato britannico.
È un errore credere che un gruppo di Tzadikìm, tali erano i figli di Yaakòv, possano aver progettato la fine fisica e spirituale di un fratello solo a causa di strani sogni puerili fatti da costui.
Rav Kuk ritiene che Yosèf abbia suggerito ai fratelli un’apertura verso il mondo non ebraico con l’intento di avvicinare ed inglobare anche gli altri popoli all’idea del monoteismo. La proposta di Yosèf non era certo tesa all’assimilazione, ma come un’apertura per correggere l’idea dell’idolatria e del politeismo presente nei popoli insegnando anche agli altri il giusto agire e il rispetto per Hashèm. Anche Avrahàm e Sarà, del resto, avevano portato in seno al popolo ebraico un gran numero di persone, allontanandole dal paganesimo. È l’eccessiva apertura di Yosèf verso un mondo non ebraico che deve aver fatto infuriare i fratelli propensi, al contrario, ad una chiusura per il timore di un’assimilazione che avrebbe messo fortemente a rischio il futuro di Israele. Da qui la proposta dei due figli di Yaakòv più violenti, Shimòn e Levì: Andiamo e uccidiamolo. Ma Yehudà, tra i fratelli il più ascoltato, sebbene non fosse d’accordo con l’idea di apertura di Yosèf non crede neppure che la violenza possa servire a dimostrare un’ingiusta e malsana opinione. Per Yehudà è pertanto preferibile vendere Yosèf ai Gentili, agli Ismaeliti o ad altri popoli stranieri e far vedere a costui che a lungo andare non saranno gli altri ad approcciarsi al suo mondo ebraico ma, al contrario, sarà lui a veder cancellata la propria identità impartita dal padre. Così Yosèf è costretto ad abbandonare la terra di Israele e soffrire anni di prigionia e cattiverie. Ma la sua forza gli permetterà di costruire il proprio futuro.
Ventidue anni dopo, i fratelli si incontreranno nuovamente con Yosèf e quest’ultimo dimostrò loro non solo di aver mantenuto la propria identità ma anche di aver convinto molti egiziani a vivere secondo i dettami imparati dai Patriarchi.
Yosèf era riuscito dunque a dimostrare che un ebreo può certamente aprirsi al mondo esterno. Se si è forti ebraicamente si potrà sempre e comunque non solo mantenere la propria identità ma anche insegnarla agli altri. E ora, la domanda finale: Yosèf ha veramente vinto? L’idea di Yosèf è quella da seguire? Yosèf fu gettato in un pozzo privo d’acqua, fu mandato in un posto privo di Torà, che è sempre paragonata all’acqua, ma colmo di cattiveria e immoralità e nonostante ciò riuscì a restare ebreo. In Egitto non c’era Torà ma in Yosèf certamente sì. Egli non dimenticò mai ciò che imparò dal padre e questo lo salvò e riuscì a farlo restare ebreo. Ma che fine hanno fatto i discendenti di Yosèf? Quando Erètz Israèl si divise in due regni, il regno di Efràim e il regno di Yehudà, il primo (che prende il nome del figlio di Yosèf) votato all’apertura verso il mondo esterno e l’altro più legato all’idea di chiusura di fronte all’assimilazione, il popolo ebraico si divise in due fazioni. Tutte gli ebrei delle tribù che seguirono l’idea di apertura di Yosèf ed Efràim sono scomparsi. Li stiamo ancora cercando. Speriamo nel loro ritorno e un giorno, con la venuta del Mashìach, torneranno, Ma a tutt’oggi, di loro, non sappiamo nulla. Come non sappiamo nulla dei milioni di ebrei americani scomparsi dal 1800 ad oggi per colpa dell’assimilazione e dell’ebraismo riformato. Ci si può certamente aprire al mondo esterno, dice rav Kuk, a condizione di essere come Yosèf, avere tanta Torà dentro di noi e tanto amore per l’osservanza delle mitzvòt altrimenti dovremo fare i conti con l’assimilazione e con un inesistente futuro ebraico.
Ecco il legame tra la storia di Yosèf e il lume di Chanuccà proposto dal Talmùd. All’epoca dei Maccabìm, spiega rav Kuk, molti ebrei si aprirono alla nuova cultura greca. Furono molti a pensare che si potesse essere ebrei e pure Mitiavenìm – grecizzanti. Ma questi ebrei, immersi in un pozzo privo di acqua, privo di Torà, in poco tempo sono scomparsi. La storia di Chanuccà è la storia di Yosèf e di Yehudà. Una storia che t’insegna che il sogno dell’apertura verso l’altro deve combaciare con la realtà di un mondo impregnato di cultura e di vita ebraica, di conoscenza della Torà e del rispetto delle Mitzvòt. I sogni, da soli, non bastano. Chanuccà è la vittoria dell’idea di Yehudà. E non è un caso che a vincere il mondo greco e a riportare la vita ebraica in Eretz Israèl fu un Maccabì. Un Maccabì di nome Yehudà.
Abbiamo passato due anni terribili pensando ai nostri fratelli rapiti. Rom Braslavski, ostaggio torturato da esseri simili a serpenti e scorpioni all’interno di un pozzo privo di Torà, appena liberato chiese di indossare i propri Tefillìn e di pregare guardando il cielo. Eitan Oren, brutalizzato e costretto alla fame da esseri indegni non mancò durante la prigionia neppure di rispettare il giorno di Kippùr. Molti dei nostri fratelli nascosti in terribili cavità non hanno smesso di recitare lo Shemà, la Tefillà, di parlare con Dio. Sono loro che possono insegnare a noi che cosa significa avere la Torà nel cuore. Un lume di Chanuccà troppo elevato, come dice il Talmùd, non serve a nulla. I miei fratelli Chatufìm mi hanno insegnato che elevate parole di luce di Torà non lasciano molto nel cuore di chi ascolta e solo chi è capace di non lasciare mai la propria identità ebraica chiusa nell’anima, anche in un momento di sofferenza e di dolore e chiuso in un pozzo colmo di morte, può veramente costruire la nostra storia. Grazie fratelli miei. Non vi scorderò mai. Anche voi, come Yosèf, costruirete il vostro futuro.













