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Ultimo numero Settembre – Ottobre 2024

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    IDEE - PENSIERO EBRAICO

    Ricordare oggi

    Una riflessione dei giovani sulla memoria

    La memoria della Shoah dopo il 7 ottobre
    Ricordare il passato è un compito che può richiedere uno sforzo emotivo non indifferente. Noi ebrei diamo a questo processo un valore aggiunto e lo condividiamo con la cittadinanza il 27 gennaio, giorno in cui fu liberato il campo di sterminio di Auschwitz, e istituito sia a livello italiano sia internazionale come giornata della memoria. In questa data ricordiamo i sei milioni di ebrei uccisi dai nazisti. Spesso però si tende a fare del ricordo un esercizio passivo, un fiume in piena che ci travolge e che non possiamo controllare; ma non è questo ciò che avrebbero voluto i nostri nonni e bisnonni che hanno perso la vita in quei luoghi. Il ricordo non può essere qualcosa di astratto, e soprattutto, non deve essere collegato esclusivamente al tempo, ma dovrebbe legarsi anche alle nostre emozioni ed esperienze. Quest’anno, rispetto a quelli passati, abbiamo sicuramente qualcosa in più su cui riflettere e a cui dedicare i nostri pensieri: il 7 ottobre. Gli stupri, le torture, le mutilazioni e i massacri compiuti dalle milizie di Hamas non sono poi tanto diverse dalle atrocità compiute dai nazisti. È per questo che quest’anno il nostro ricordo non può che andare anche a quelle 1200 persone uccise con lo stesso mandato di odio con cui sono stati sterminati sei milioni di ebrei. Per questo viene purtroppo da chiedersi se il nostro ricordo sia servito a qualcosa. Le nostre manifestazioni, le nostre grida, i nostri slogan hanno veramente inciso in qualche modo sul corso della storia? La risposta a queste domande probabilmente non esiste, ma sicuramente la memoria della Shoah quest’anno non sarà come quella degli anni passati. Quest’anno, forse per la prima volta, abbiamo realmente capito che la storia è ciclica e che è vero che “coloro che non sanno ricordare il passato sono condannati a ripeterlo”.

    Eitan Di Porto

     

    La responsabilità dei giovani tra passato, presente e futuro
    Esistono, nel tessuto della storia umana, capitoli talmente oscuri, sfibranti di dolore, che arrivano a sfidare ogni tentativo di oblio. La Shoah, nella sua perversa mostruosità, è uno dei tragici episodi che tendono a imprimere la coscienza collettiva con un sigillo indelebile di sofferenza. Eppure, soprattutto in un periodo storico così straziante, la memoria della Shoah agisce come un faro che attraversa il buio dei tempi, richiamando le nuove generazioni ad un profondo confronto con il passato.
    “La Shoah è una pagina del libro dell’Umanità da cui non dovremo mai togliere il segnalibro della memoria”. Ma cosa significa davvero “memoria”? E qual è la sua funzione? La funzione del ricordo si manifesta semanticamente attraverso tre verbi gemelli, distinti nelle loro sfumature etimologiche: ricordare, rammentare, rimembrare. “Ricordare” suggerisce il portare al cuore, evocando un connubio emotivo; “rammentare”, con la radice indicante portare alla mente, delinea il processo cognitivo di richiamo. “Rimembrare” d’altra parte, si innalza ad un livello più ampio, pervadendo una dimensione totale e profonda, in cui l’individuo si immerge nella trama dell’esperienza, rivivendola con una partecipazione che coinvolge ogni fibra del proprio essere. Nel meccanismo di rimembranza dunque, la Giornata della Memoria funge da catalizzatore di azione, che, sottolineando l’importanza di mantenere viva la memoria collettiva, si eleva a richiamo costante all’umanità, a monito contro indifferenza e desensibilizzazione. Le nuove generazioni, immerse nella società della veicolazione faziosa di informazioni, devono vedere nella Shoah la radice della consapevolezza critica, in una realtà sempre più frammentata e distorta. È proprio per l’unicità di questo feroce massacro, in un contesto storico già sviluppato, che la Shoah diviene una pietra invalicabile nella storia umana: una pietra d’inciampo. Ecco forse che il dovere di non dimenticare che rimbomba in maniera confusa e poco definita nelle orecchie di noi adolescenti durante l’intera giornata della memoria assume un significato concreto, reale: come possiamo influire su un avvenimento così remoto, qual è il nostro ruolo? Dobbiamo alleviare il dolore, spartire questo carico apparentemente insostenibile l’uno con l’altro, condividendo la sofferenza dei deportati, tornando lì con mente, cuore e membra. La memoria della Shoah è un patrimonio che appartiene all’umanità, ma è nelle mani delle nuove generazioni che il suo significato deve fiorire. Dobbiamo abbracciare la responsabilità di portare avanti il testimone, per onorare il passato, informare il presente e plasmare il futuro.

    Emiliano Attia

     

    Il nostro ricordo
    Il concetto di ricordo è una forza che attraversa le generazioni, tracciando un legame cruciale tra il passato e il presente. La mia generazione, la cosiddetta “Generazione Z”, spesso sotto accusa per essere la generazione del comfort e dei nativi digitali, ha recentemente vissuto una metamorfosi nella sua percezione del mondo e nel modo in cui affronta il valore del ricordo. Siamo stati dipinti come individui più interessati ai nostri schermi che alla realtà circostante, una generazione che sembra aver perso il contatto con le sfide e le lotte delle generazioni precedenti. Tuttavia, il 7 ottobre è diventato un punto di svolta. Da semplici spettatori dietro uno schermo, ci siamo improvvisamente trovati coinvolti direttamente nella testimonianza delle atrocità commesse da Hamas in Israele, evento che ha innescato in noi una reazione istantanea, trasformandoci da “narratori del passato” in attivisti impegnati a difendere il nostro diritto fondamentale di esistere in quanto ebrei. Da auditori attivi delle storie passate, ci siamo catapultati in una guerra mediatica per aiutare Israele e il popolo ebraico, con l’unico intento di vederci riconosciuti i presunti “diritti inviolabili dell’uomo”. Quando, e se ci sarà un quando, la guerra sarà finita, avremo il compito di preservare e assimilare il ricordo. Ma come si fa quando lo si è vissuto in prima persona? Come si raccontano le notti insonni alla ricerca di appartamenti liberi per le famiglie bloccate a Roma, al timore di uscire con simboli ebraici, e al dolore profondo di sapere che la maggior parte del mondo non ha alcuna pietà per donne violentate, bambini massacrati e famiglie sterminate, solo perché israeliane, solo perché ebree. Il compito che grava su i giovani della mia generazione è proprio questo: impedire che questo ricordo venga mai assimilato. Non vogliamo che i nostri figli e nipoti siano solo spettatori di una storia; vogliamo renderli partecipi della realtà, mostrando loro che, anche quando tutto sembra scontato, tutto può accadere.

    Michal Colafranceschi

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