Oggi festeggiamo il 74° anniversario della fondazione dello Stato d’Israele. È per noi una grande occasione di gioia. Non dobbiamo dimenticare che cosa abbia rappresentato questo evento nella storia ebraica, tanto più se si considerano le circostanze in cui è avvenuto. Il popolo ebraico, che pur aveva conosciuto numerosi eventi terribili, arrivò con la Shoà al punto più buio e drammatico della sua storia, mai visto e sofferto prima. Ma neppure tre anni dopo riuscì ad emergere dall’orrore con una nuova rinascita, che pochi avrebbero pensato possibile nei momenti dello sterminio e delle camere a gas.
Il pensiero ebraico ha voluto dare a tutto questo un senso religioso. Il Cantico dei Cantici è un piccolo libro della Bibbia che parla dell’amore tra due giovani e che è stato interpretato come una rappresentazione dell’amore travagliato tra il popolo di Israele e Hashèm. In un brano del capitolo 5, la ragazza racconta che stava dormendo, in semiveglia, quando ha sentito il suo amato bussare alla porta (Kol dodì dofèk), ma non ha risposto subito, l’amato se ne è andato e lei l’ha dovuto rincorrere. In questa scena i commenti vedono la rappresentazione di Hashèm che bussa alle porte di Israele e cerca di aiutarlo, anche se Israel si lascia sfuggire l’occasione. Nel 1956 il grande Maestro dell’ebraismo americano, rav Josef Dov Soloveitchik, scrisse un saggio di pensiero ebraico nel quale tra l’altro si rivolse a un mondo ebraico addormentato per risvegliarne la coscienza e spiegare il grande momento che stava attraversando. Il rav intitolò il suo saggio proprio con le parole Kol dodì dofèk (è disponibile in Italiano, con questo titolo, in edizione Salomone Belforte 2017) e spiegò che nella fondazione dello Stato d’Israele dobbiamo riconoscere i colpi dell’Amato che bussa alle nostre porte. Più precisamente parlò di sei colpi, esponendoli così:
il primo colpo, il riconoscimento politico all’assemblea dell’Onu del diritto ebraico allo Stato; secondo il rav, sarebbe stato l’unico buon motivo della fondazione dell’Onu, che non dava altri grandi segni di utilità. A distanza di tanti anni, e alla luce di quello che sta accadendo in questi giorni, non gli si può dar torto…
Il secondo colpo, la vittoria di Israele in una guerra del tutto sbilanciata; una guerra che Israele non aveva cercato e gli fu imposta dai nemici che non accettarono la spartizione della Palestina. E se l’avessero accettata, il nascente Stato sarebbe stato molto più piccolo di quello che divenne alla fine della guerra.
Il terzo colpo fu la dimostrazione della falsità del pensiero religioso non ebraico che ha interpretato l’esilio di Israele come la sua eterna e irreversibile punizione per non avere accettato la verità di un’altra fede.
Il quarto colpo fu il risveglio di tanti ebrei, allontanati per l’assimilazione e storditi per la Shoà, che hanno recuperato un rapporto con le proprie radici.
Il quinto colpo fu l’affermazione del principio che il sangue ebraico non è hefqèr, cosa di nessun valore e di nessuno, che possa essere versato impunemente.
Il sesto colpo fu la creazione di un asilo sicuro e disponibile per un popolo perseguitato, che per secoli ha dovuto cambiare dimora nell’incertezza continua. Agli inizi della guerra in Ukraina, Nathan Sharansky ha raccontato che in gioventù, sotto l’Unione Sovietica, lui che viveva in Ukraina, aveva nei documenti scritta la nazionalità ebraica (così erano classificati i cittadini in quel sistema, per nazionalità, non per religione) e questa iscrizione comportava sistematicamente persecuzioni burocratiche e sociali. Oggi, commentava Sharansky, la situazione è totalmente rovesciata. Avere una nazionalità ebraica in tempi così tormentati è una garanzia di sicurezza e la disponibilità di un asilo.
Questi i sei punti, i sei “colpi” alla porta secondo il rav, che non perdono di attualità e ripropongono alla nostra attenzione l’importanza dello Stato d’Israele. Non solo politica, ma religiosa. Se gli ebrei si riuniscono nelle Sinagoghe per celebrare questo evento è perché gli danno un senso diverso, fuori dai consueti schemi storici e politici. Sta in questo la natura particolare di Israele e del suo rapporto con Hashèm. Kol dodì dofek, “Ascolta il mio Amato che bussa alla porta”.
SINTESI DEL DISCORSO PER YOM HAATZMAUT 5872-2022