La parashà inizia con queste parole: “E Ya’akov visse in Egitto per diciassette anni. Egli visse per centoquarantasette anni” (Bereshìt, 47:28).
R. Chayim Yosef David Azulai (Gerusalemme, 1724-1806, Livorno) nel suo commento Panìm la-Torà cita il suo parente, rav Israel Zeevi (Chevron, m. 1731) che chiede per quale motivo Ya’akov rimase in Egitto negli ultimi diciassette anni di vita, se aveva un così grande desiderio di abitare nella terra d’Israele. Dopo essere venuto in Egitto a causa della carestia e aver vissuto per un anno o due con il prediletto figlio Yosef, sarebbe potuto tornare a Chevron! Egli risponde che Yitzchak padre di Ya’akov visse centottanta anni, e Ya’akov pensava di avere molti più anni davanti a se, e che sarebbe potuto tornare a Chevron dieci o quindici anni prima di quando era deceduto suo padre.
R. Joseph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993, Boston) in Mesoras Harav offre una diversa spiegazione. Sia questa parashà che quella precedente iniziano con il numero diciassette. In quella precedente Yosef aveva diciassette anni. Questi numeri, egli scrive, non sono una coincidenza. L’insegnamento di Ya’akov nei primi diciassette anni di Yosef furono necessari per dargli la forza di resistere nelle avversità. Arrivato in Egitto, Ya’akov si rese conto che un leader in una posizione di comando, con il passare del tempo rischia di diventare arrogante e poco sensitivo. C’era il pericolo che dopo la morte di Ya’akov, Yosef diventasse un leader arrogante come molti altri. I diciassette anni di Ya’akov in Egitto furono necessari per dare a Yosef la forza di resistere alle tentazioni del potere che tende a corrompere.
R. Soloveitchik si sofferma sull’episodio successivo delle benedizioni che Ya’akov diede a Efràim e Menascè, figli di Yosef: “Ed ora i tuoi figli nati nella terra d’Egitto prima del mio arrivo, Efràim e Menascè, sono per me [dei figli] come lo sono Reuven e Shim’on” (ibid., 48:5). Anche se Ya’akov visse meno del padre Yitzchak (180 anni) e del nonno Avraham (175 anni), Ya’akov è più volte chiamato nella Torà “il vecchio”. E anche nelle fonti talmudiche Ya’akov è chiamato spesso “Israel Saba”, il vecchio Israel. Anche oggi questa espressione è usata per indicare coloro che seguono le vecchie tradizioni. Perché proprio Ya’akov è chiamato “il vecchio” e non altri? R. Soloveitchik spiega che Ya’akov fu il primo ad avere un rapporto diretto con i nipoti, mettendo così le basi per un dialogo generazionale.
Mentre Avraham e Yitzchak trasmisero il loro retaggio spirituale ai figli, essi non ebbero un rapporto diretto con i nipoti. La loro influenza nei confronti dei nipoti fu indiretta. Ya’akov invece ebbe un rapporto diretto con i nipoti e trasmise la grande mesorà, tradizione, di Avraham ai nipoti. Egli fu il primo a dare una benedizione ai nipoti. E questa benedizione egli la diede ancora prima di benedire i propri figli. Nella famiglia di Ya’akov non vi era un salto generazionale. La regola talmudica (Yevamòt, 62b) che i figli dei figli hanno lo stesso status dei figli, è tratta infatti dalla dichiarazione di Ya’akov per Efràim e Menascè.
Yosef sapeva qual’era l’importanza della mesorà (tradizione) e volle emulare il padre Ya’akov. Se nella trasmissione della benedizione di Avraham, vi fu un rapporto diretto tra Ya’akov e i nipoti Efràim e Menascè, Yosef fece di più avendo un rapporto diretto con un’ulteriore generazione. Per questo è scritto: “Yosef vide i figli della terza generazione di Efràim; anche i figli di Makhìr, figlio di Menascè, crebbero sulle ginocchia di Yosef”.