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    Parashà di Vayakhèl: Prendi i miei gioielli

    In questa parashà Moshè annuncia ai figli d’Israele che per la costruzione del Mishkàn, l’Eterno ha dato il seguente ordine: “Prelevate da ciò che è vostro un’offerta in onore dell’Eterno; chi è di cuore  generoso  rechi quest’offerta all’Eterno, oro, argento e rame. Lana azzurra, porpora, scarlatto, lino e pelo di capra, pelli di montone tinte di rosso, pelli di tàchash (un animale ignoto), e legno di acacia” (Shemòt, 35: 5-7).  Il testo della Torà continua con altri materiali elencando anche dove sarebbero stati usati.  

                Alla fine della lista è raccontato che: “Tutta la congregazione dei figli d’Israele se ne andò via  dalla presenza di Moshè (ibid, 20). R. Chayim ibn ‘Attar (Marocco, 1696 – 1743, Gerusalemme) commenta che tutti andarono via in fretta per portare quanto necessario senza aspettare che Moshè desse loro il normale permesso di lasciare l’assemblea. Quando Moshè disse loro “prelevate da ciò che è vostro” essi capirono  che non era necessaria un’autorizzazione formale di lasciare l’assemblea. 

                Il testo continua dicendo: “Vennero quindi tutti i volontari e tutti coloro che desiderarono  fare un’offerta all’Eterno per la realizzazione della tenda del convegno (il Mishkàn), per ogni sua opera e per i vestimenti sacri. Vennero uomini con le mogli che erano di cuore generoso e portarono bracciali, orecchini, anelli e ornamenti, e ogni tipo di oggetti d’oro. Vi erano anche coloro che donarono  un’offerta (tenufà) di oro all’Eterno (ibid, 20-23). Oltre a questo vi furono coloro che portarono lana dei colori richiesti, argento, rame e legno d’acacia.   

                R. ‘Ovadià Sforno (Cesena, 1475-1550, Bologna) spiega che le donne che portarono i propri gioielli vennero accompagnate dai mariti, perché secondo la regola i gabbaìm che raccolgono le offerte non accettano donazioni di grande valore dalle signore senza il consenso dei mariti. 

                R. Chayim ibn ‘Attar, commenta che vi sono diversi livelli di amore per le proprie cose: in primo luogo vi sono i gioielli e gli oggetti personali che per i proprietari hanno un valore superiore ad ogni altra proprietà. In secondo luogo vi sono gli oggetti d’oro perché l’oro è considerato più prezioso di ogni altra cosa. In terzo luogo vi sono oggetti rari che solo pochi hanno e che per il proprietario valgono più del loro valore nominale. Nel quarto gruppo vi sono tutte le altre proprietà.       

                La Torà ha descritto altrettanti livelli di donatori tra il popolo. Il primo gruppo è quello delle donne che portarono il loro gioielli perché vollero portare quello che avevano più caro. La Torà elenca i gioielli che portarono per mostrare il loro amore per la mitzvà. Per costoro la Torà scrive che si trattava di ogni “nedìv lev”, delle persone di cuore generoso. E chi è di cuore generoso dona più delle sue possibilità  perché è più felice nel dare che nell’avere. 

                Il secondo livello era di coloro che portavano oro non usato per la gioielleria. E riguardo a costoro la Torà scrive: “Ogni persona che elevò un’offerta (“tenufà”) all’Eterno”.    

                Il terzo livello era quello di coloro che portarono delle cose che non erano disponibili nel deserto come lana azzurra e porpora. Riguardo a questi nella Torà è scritto: “Ed ogni persona che aveva con sè lana azzurra e porpora…”.

                Il quarto livello era di coloro che portavano metalli meno preziosi e legni d’acacia. Per quest’ultimi la Torà non parla di doni o offerte ma usa il termine “portarono”.  

                In un modo o nell’altro, chi più e chi meno, il popolo portò tutto quello che era necessario e anche di più, tanto che, come commenta Rashì (Troyes, 1040-1105) citando il Midràsh, ai capi tribù non restarono altro che le pietre preziose per il pettorale del Kohen Gadol.

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