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SPECIALE PESACH 5784

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    Parashà di Vaigash: Come portare buone notizie

    Dopo aver ritrovato Yosef e ricevuto da lui l’ordine di raccontare al padre che era vivo ed era il governatore d’Egitto, i fratelli avevano un grosso problema da risolvere. Come raccontare al vecchio padre Ya’akòv che Yosef era vivo senza che gli venisse un colpo e morisse. 

                La cosa non era facile. R. Moshè Alshich (Adrianopoli, 1508-1593, Safed) nel suo commento Toràt Moshè cita un passo dal Talmud babilonese (Ketubòt, 62b) dove è raccontato che rabbi Chananyà figlio di Chachinai tornò a casa dopo dodici anni senza farsi annunciare. Sua moglie era seduta e setacciava la farina. Alzò gli occhi, lo vide e lo riconobbe, ebbe le palpitazioni per l’agitazione e  per lo stress emotivo il suo cuore cessò di battere. Rabbi Chananyà pregò l’Eterno: Padrone del mondo, è questa la ricompensa di questa povera donna? La sua implorazione ebbe buon esito e la moglie sopravvisse. 

                R. Mordekhai Ha-Kohen (Safed, 1523-1598, Aleppo) in Siftè Kohen, citando un midràsh, scrive che i fratelli al ritorno dall’Egitto incontrarono la piccola Serach figlia di Asher che cantava. Le chiesero di andare dal nonno Ya’akòv e di inserire nella sua canzone le parole “Yosef è vivo”. In questo modo il refrain entrò pian piano nelle orecchie di Ya’akòv. Poi finalmente dissero in modo esplicito a Ya’akòv che Yosef era vivo. Nella Torà è scritto: “E tornarono dall’Egitto e arrivarono nella terra di Canaan dal loro padre Ya’akòv. E gli raccontarono che Yosef era ancora vivo ed era il governatore di tutto il paese d’Egitto. Ma il suo animo rimase abbattuto perché non poteva prestare loro fede. Gli raccontarono poi tutto ciò che Yosef aveva detto loro, vide i carri che aveva mandato per trasportarlo; solo allora lo spirito di Ya’akòv si ravvivò” (Bereshìt, 45:26-27).

                Per quale motivo Ya’akòv non credette al racconto dei figli che Yosef era ancora vivo? Una prima risposta la si trova in Avòt de-Rabbi Natan (30:4) dove è scritto che la punizione di chi racconta bugie è che anche quando dice la verità non gli si crede. Così avvenne con i figli di Ya’akòv che raccontarono il falso al padre. All’inizio egli credette loro quando gli presentarono la tunica insanguinata di Yosef facendogli credere che era stato sbranato da un animale feroce. Ma poi quando gli raccontarono la verità dicendogli che Yosef era vivo, non li credette. 

                In ogni caso è difficile capire perché nella parashà sia scritto che “non li credette”. Quando Yosef raccontò il secondo dei suoi sogni nel quale “il sole, la luna e undici stelle si prostravano a me”, una indicazione sulla sua futura salita al potere, è scritto: “I suoi fratelli furono gelosi di lui, ma suo padre conservò memoria del fatto” (Bereshìt, 37:9-11). Se Ya’akòv conservò memoria del fatto, per quale motivo non credette che Yosef era vivo ed era diventato governatore d’Egitto?  

                Una risposta a questo dilemma la diede r. Itzchàk Abarbanel (Lisbona, 1437-1508, Venezia) nel suo commento alla Torà. Egli scrive che Ya’akòv rimase abbattuto quando gli raccontarono che Yosef era vivo perché la sola menzione di Yosef gli fece ricordare la sua grande pena per la perdita del figlio e dopo ventidue anni di assenza aveva perso ogni speranza di rivederlo. Solo dopo aver visto i carri che aveva mandato Yosef, con il permesso del faraone, per trasportare lui e la famiglia in Egitto, si rese conto che Yosef era veramente vivo.            

                

    (Allegata la foto di uno dei venti arazzi del Bronzino sulla storia di Yosef, commissionati da Cosimo I de Medici, che mostra l’incontro di Yosef con suo padre in Egitto).

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