In questa parashà, in cui si parla dei sacrifici, vi sono anche le mitzvòt proscrittive di non mangiare il grasso duro dell’animale nè il suo sangue. Nella Torà è scritto: °…non mangerete nessun grasso duro di bovino, ovino e caprino. E il grasso duro di un animale morto da sè (nevelà, pl. nevelòt) o di un animale sbranato (terefà, pl. terefòt) potrà essere usato per qualsiasi lavoro, ma non lo mangerete” (Vaykrà, 7:23-24).
“Nevelà” è un animale morto senza la shechità. “Terefà” è un animale che è stato attaccato da un predatore che ne ha causato un danno fisico che lo porterà alla morte entro un anno. Lo stesso termine vale per un animale nel quale, anche dopo la shechità, è stato trovato un difetto che non gli permette di vivere oltre un anno. In ogni caso è proibito consumare il grasso duro di questi animali ma è permesso beneficiarne e anche farne commercio. Questa regola è un eccezione, perché è altrimenti proibito commerciare con animali non kasher.
Su questo argomento c’è un responso di rav Shemuel Abuhav (Amburgo, 1610-1694, Venezia) a r. Gur Ariè Halevi Finzi (m. 1697 a Mantova). La domanda era se fosse permesso fare società con un non ebreo che commerciava in nevelòt. La risposta fu che era proibito essere coinvolti anche in questo modo nel commercio di animali non kasher.
L’argomento è trattato in modo esteso nel Yalkùt Me’am Lo’ez, a cura di r. Yitzchak Magrisso (m. 1732) di Costantinopoli. La Torà ha proibito consumare, nevelòt, terefòt, insetti e striscianti e pesci non kasher, ed è anche proibito farne commercio o trarne beneficio.
Vi sono però delle eccezioni. La proibizione sussiste se l’attività di un operatore economico è il commercio di questi animali. È tuttavia permesso a un macellaio vendere ai non ebrei un animale nel quale, dopo la shechità, è stato trovato un difetto che lo rende terefà. Questo perché il macellaio non aveva alcuna intenzione di farne commercio. Così pure è permesso a un pescatore che va alla pesca di pesci kasher, vendere anche pesci che non lo sono se gli sono capitati nella rete. Anche in questo caso è permesso perché non era sua intenzione guadagnare dalla pesca di pesci non kasher. Un’altra eccezione sussiste se un non ebreo ha un debito con un ebreo e non ha altro modo di saldare il debito che con un prodotto non kasher. In questo caso è permesso accettare questa merce come pagamento ma poi bisogna venderla al più presto.
La proibizione di commerciare in cose proibite sussiste solo per merci che vengono consumate dalla maggior parte dei non ebrei, come per esempio, i suini. Tuttavia, è permesso commerciare in cavalli, asini e camelli perché non sono destinati al consumo.
Così pure è permesso il commercio di pelli e pellicce, sia di nevelòt e terefòt, sia di animali non kasher perché non si tratta di prodotti commestibili.
Per quanto riguarda se fosse permesso fare commercio di caviale, fu posta una domanda a r. Moshe Benveniste, nota autorità halakhica del 1600 in Turchia. Egli rispose che è permesso perché non sappiamo se il pesce da cui viene il caviale sia kasher oppure no. Per quanto ci si astenga dal mangiare caviale per via di questo dubbio, non si può per questo proibirne il commercio. (Se il caviale in questione non è kasher, è anche proibito farne commercio).