In questa parashà l’Eterno diede istruzioni a Moshè per il confezionamento dei vestimenti dei kohanìm. Otto vestimenti per Aharon, che doveva essere kohèn gadòl, e quattro per gli altri kohanìm.
Nella Torà è scritto: “Farai confezionare per Aharon, tuo fratello, vestimenti sacri, segno di dignità e magnificenza” (Shemòt, 28:2).
Il Nachmanide (Girona, 1194-1270, Acco) nel suo commento alla Torà, a proposito dei vestimenti del kohèn gadòl, scrive che il kohèn gadòl “… dev’esser distinto e sontuoso con abiti di dignità e magnificenza, proprio come dice la Scrittura, «Come uno sposo che si adorna di un diadema» (Yesha’yà, 61:10), poiché questi vestimenti sono come quelli che i monarchi indossavano al tempo in cui fu data la Torà. Così troviamo in riferimento alla tunica [di Yosef quando il padre Ya’akòv] «Gli fece una tunica a di tessuto a quadretti di colori variegati» (Bereshìt, 37:3) e r. Avraham Ibn Ezra (Tudela, 1089-1167, Calahorra) spiega «Che lo vestì come i figli di antichi re»”.
Che i vestimenti del kohèn gadòl fossero di stile regale lo conferma il Talmud nel trattato Meghillà (12a) dove è raccontato che re Achashverosh, in occasione della grande festa che fece a Shushàn, si adornò con i vestimenti del kohèn gadòl.
Rashì (Troyes, 1040-1105) spiega che questi vestimenti erano parte del bottino che re Nevuchadnetzar aveva preso da Gerusalemme quando aveva conquistato la città.
Nel Talmud (Shabbàt, 31a) è raccontato che questi vestimenti suscitarono l’immaginazione di un gentile che passava vicino a una scuola: “… un gentile che stava passando dietro a una scuola, sentì la voce di un maestro che stava insegnando Torà ai suoi studenti. Il maestro leggeva il versetto: «E questi sono gli vestimenti che faranno: un pettorale, un dorsale, un manto, una tunica lavorata a quadretti, un turbante e una cintura» (Shemòt, 28:4). Il gentile disse: Questi vestimenti a chi sono destinati? Gli studenti gli dissero: al kohèn gadòl. Il gentile disse tra sé: andrò a convertirmi affinché mi nominino kohèn gadòl.
Si presentò a Shammai e gli disse: Convertimi a condizione che tu mi nomini kohèn gadòl. Shammai lo respinse con l’asta di misura da geometra che aveva in mano. Andò da Hillel; Hillel accettò di convertirlo [Maharsha], ma prima gli disse: Non è forse appropriato che solo chi conosce i protocolli della regalità venga nominato re? Vai e impara i protocolli reali impegnandoti nello studio della Torà.
Il gentile andò a leggere la Torà. Quando arrivò al versetto che dice [che solo i leviti potevano avvicinarsi al Mishkàn] e che «… lo straniero che si avvicinerà morirà» (Bemidbàr, 1:51), il gentile disse a Hillel: A chi si riferisce questo versetto? Hillel gli disse: Anche a Davide, re d’Israele. Il gentile fece una deduzione a fortiori: Il popolo ebraico è chiamato figlio dell’Onnipresente, e per l’amore verso di loro Egli ha detto: «Israele è Mio figlio primogenito» (Shemòt, 4:22). Con tutto ciò anche riguardo a loro è scritto: «E lo straniero che si avvicinerà morirà». Se così, a maggior ragione questo vale anche per un proselita come me venuto con nient’altro che il bastone e la borsa da viaggio.
Il gentile andò da Shammai e gli disse che ritrattava la sua richiesta di essere nominato kohèn gadòl, dicendo: Sono davvero degno di essere kohèn gadòl? Non è scritto nella Torà: «E lo straniero che si avvicina morirà?». Poi andò da Hillel e gli disse: Hillel, hai avuto pazienza [con me], sii benedetto per avermi portato sotto le ali della Presenza Divina”.