La parashà inizia con queste parole: “Porrai su di te dei giudici (shofetìm) e dei ufficiali (shotrìm) in tutte le città che l’Eterno, il tuo Dio, ti dà, tribù per tribù; ed essi giudicheranno il popolo con giusti giudizi (Devarìm, 16:18).
Rashì (Troyes, 1040- 1104) commenta questo versetto nel modo seguente: “I shofetìm sono i giudici che decidono la legge; i shotrìm sono gli ufficiali che governano il popolo seguendo gli ordini dei giudici…” e quindi usano anche metodi coercitivi affinché le decisioni dei giudici vengano obbedite.
R. Yaakov Yosef Hakohen di Polnoye (Ucraina, 1710-1783), che fu il principale discepolo del Ba’al Shem Tov, compose un’opera dal titolo Toledot Ya’akov Yosef che fu pubblicata nel 1780 a Koretz in Ucraina. È un libro molto prezioso perché fu il primo libro di Chassidismo ad andare in stampa. In quest’opera che comprende commenti alla Torà, r. Ya’akov Yosef citò centinaia di volte gli insegnamenti del Ba’al Shem Tov.
In questa parashà, r. Ya’akov Yosef si sofferma sulla parola “Porrai su di te”. Egli afferma che questo significa che devi giudicare te stesso nello stesso modo in cui tu giudichi il tuo prossimo.
Inoltre r. Ya’akov Yosef aggiunge che da questo versetto si può imparare come resistere alle tentazioni dello yetzer hara’, dell’istinto naturale. L’uomo è come una piccola città e lo yetzer hara’ è paragonato a un Re che la mette d’assedio. L’uomo deve quindi proteggere le sette “porte” della sua città che sono i due occhi, le due orecchie, le due narici e la bocca. La bocca è la “porta” più importante e richiede maggiore protezione. Infatti nei Pirkè Avòt (Massime dei Padri, 1: 16) r. Shim’on ben Gamliel disse: “Ho trascorso la mia vita tra i maestri e non ho riscontrato nulla di meglio per l’uomo che il silenzio, e non è la sola teoria quel che conta, ma la teoria vissuta e praticata, e chiunque si prolunga in discorsi inutili porta il peccato”. Così pure nel vedere e nel sentire, afferma r. Ya’akov Yosef, bisogna saper avere giudizio su cosa guardare e su cosa sentire.
R. Avraham Kroll (Lodz, 1912-1983, Gerusalemme) in Bepikudekha Asicha (p.372) cita i Proverbi di Salomone (6:6-8) dove è scritto: “Và, pigro, alla formica; considera come si comporta, e diventa savio! Essa non ha né capo, né ufficiale, né governante; prepara il suo cibo nell’estate, e raduna il suo mangiare durante la raccolta”.
Nel Midràsh (Devarìm Rabbà, 5:2) i maestri si soffermano sull’espressione “considera come si comporta e diventa savio”. Viene citato r. Shim’on figlio di Chalaftà il quale racconta che una volta una formica aveva fatto cadere un chicco di grano. Le altre formiche si avvicinavano per annusarlo e nessuna glielo portava via. Per questo nel Talmud (‘Eruvìn, 100b) è detto che se non ci fosse stata data la Torà avremmo potuto imparare le leggi del furto dalla formica.
Nel versetto succitato dei Proverbi è anche scritto che la formica “non ha né capo, né ufficiale, né governante”. Rashì spiega: “Che non la ammonisca e le faccia restituire quello che ha rubato dalla sua compagna”. Questa affermazione è problematica perché appare contraddire quello che disse r. Shim’on ben Chalaftà che le formiche non portarono via il chicco di grano caduto da una loro compagna. Ma nello stesso midràsh viene citato Shim’on figlio di Yochay che dice che nel nascondiglio di una formica trovarono una quantità enorme di grano. E se le formiche stanno attente a non rubare da dove veniva questa enorme quantità di grano?
Rav Kroll conclude che è per questo che re Salomone sottolinea che se non c’è un capo, un ufficiale e un governante, si può stare attenti a non toccare un chicco di grano che non ti appartiene e d’altra parte rubare in grande scala.