In questa parashà viene descritto l’inizio della profezia di Moshè. Pascolando il gregge del suocero Yitrò, Moshè arrivò al monte Chorèv dove ebbe l’apparizione del roveto ardente e la sua prima profezia. L’Eterno disse a Moshè di tornare in Egitto per liberare il popolo d’Israele dalla schiavitù e condurli nella Terra Promessa ai loro padri. Moshè chiese all’Eterno come avrebbe risposto ai figli d’Israele se gli avessero chiesto con quale nome l’Eterno si era presentato a lui. “E Dio disse a Moshè: E-h-y-è ashèr E-h-y-è. (Sarò quel che sarò)” (Shemòt, 3:14).
R. Yehudà Halevi (Spagna, 1075-1141, Eretz Israel) nel Kuzarì (4:3.12) scrive che con questa descrizione “l’Eterno voleva scoraggiare il popolo dal cercare di capire la Sua essenza che è incomprensibile agli esseri umani”. Ciò significa che quando rispose “Sarò quel che sarò” intendeva dire: “Dì al popolo che Io sono l’Essere che sarà presente per loro quando Lo cercheranno. Fa sì che essi non cerchino un’altra migliore prova della Mia esistenza altro che il fatto che Io sarò lì per loro e che mi accettino su questa base” (trad. dal testo inglese di r. Daniel Korobkin, Feldheim Pub., 2009).
R. Joseph Pacifici (Firenze, 1928-2021, Kiriat Sefer) in Hearòt ve-He’aròt afferma che “E-h-y- è” è uno dei nomi dell’Eterno. Significa, come spiega Rashì, che il Santo Benedetto si trova con il popolo d’Israele sempre, ovunque e in ogni situazione.
R. Ya’akov Tzvi Meklenburg (Polonia, 1775-1865, Germania) nella sua opera Ha-Ketàv Veha-Kabbalà, scrive che quando l’Eterno rispose a Moshè dicendo “Sarò quel che sarò” intendeva dire che Egli può essere quello che vuole essere e si presenta con un nome diverso a seconda delle situazioni. Si presenta con il nome “E-l-o-h-ì-m” quando giudica; con il nome “Tze-va-òt” quando punisce i malvagi; quando sospende i peccati degli uomini si presenta con il nome “E-l Shad-dày”; quando ha misericordia delle creature si presenta con nome “H-a-v-a-y-à”.
Incomprensibile agli esseri umani e per noi illeggibile è “il Nome separato” (Shem Ha-Meforàsh) indicato dalle lettere Y-H-V-H (il Tetragramma).
R. Yosef Albo ( Spagna, 1380-1444) nel Sèfer Ha-Ikkarìm (2:28) scrive: Il nome espresso con le lettere Y-H-V-H è chiamato il “Nome separato”. La radice PRSH è spesso usata dai maestri per indicare qualcosa che è separato e diverso dagli altri […]. Gli uomini che sono differenti dagli altri e superiori per loro virtù ekedushà sono appunto chiamati Perushìm (Farisei). Questa è la spiegazione data dai maestri nel Midràsh Sifrè […]. Da questa spiegazione vediamo quindi che Shem Ha-Meforàsh è il Nome che è separato dalle altre appellazioni ed è peculiare solo a Dio. Gli altri nomi indicano la divinità in ragione delle Sue attività o in ragione di qualche altro aspetto del Suo essere diverso dalla Sua necessaria esistenza. Il nome E-l-o-h-ì-m denota “potenza” e pertanto è anche adatto ad altri, come per esempio agli angeli o ai giudici. In modo simile A-d-o-n-à-i che denota “signoria” è adatto anche ad altri e non solo a Dio. Questi nomi sono adatti a Dio e ad altri esseri o come puri omonimi o sulla base di qualche analogia. Solo il Tetragramma non è adatto a nessun essere altro che a Dio perché denota Dio la cui esistenza è necessaria, come scrive il Maimonide (Guida dei Perplessi, I, 61).
In questa opera Il Maimonide (Cordova, 1138-1204, Il Cairo) scrive che “Tutti i nomi di Dio che si trovano nelle Scritture derivano dalle Sue azioni. In questo non vi è nulla di segreto. La sola eccezione è il Tetragramma Y-H-V-H, che da’ un’indicazione chiara e senza equivoci della Sua essenza. Il Maimonide aggiunge che il Tetragramma viene da noi pronunciato co “A-d-o-n-à-i”, “perché questo è il più particolareggiato dei nomi comunemente conosciuti di Dio”.
Il Nachmanide (Girona, 1194-1270, Acco) avverte che è proibito pronunciare questi Nomi senza motivo (Shemòt, 20:7). Pertanto, quando non si legge un versetto intero, si usa dire E-lokim invece di E-lo-him, Kel in vece di E-l, Tzevakot invece di Tze-va-ot, Hashem invece di A-do-nai. Ed Eke invece di E-h-y-e.