R. Herschel Schachter (Scranton, 1941) in Insight and Attitudes (p. 252) scrive che la prima parte di questa parashà formula il principio del libero arbitrio. Nella Torà è scritto: “Guardate, io pongo oggi dinanzi a voi la benedizione e la maledizione: la benedizione, se ubbidite ai comandamenti dell’Eterno, del vostro Dio, i quali oggi vi do; la maledizione, se non ubbidite ai comandamenti dell’Eterno, dell’Iddio vostro, e se vi allontanate dalla via che oggi vi prescrivo, per andare dietro a dèi stranieri che voi non avete mai conosciuti (Devarìm, 11:26-28).
Se vi è una benedizione e quindi una ricompensa se si segue la strada giusta e una punizione se si va per quella sbagliata, è evidente che l’essere umano ha la possibilità di scelta. Se non vi fosse possibilità di scelta, nessuno sarebbe responsabile per le proprie azioni e non meriterebbe ricompensa o punizione.
Questo principio è stabilito fin dall’inizio della Torà dove è scritto che l’essere umano fu creato “a nostra immagine e somiglianza” (Bereshìt, 1:26). R. ‘Ovadyà Sforno (Cesena, 1475-1550, Bologna) nel suo commento alla Torà, spiega che l’intelligenza è chiamata “immagine divina” e la capacità di scegliere è chiamata “somiglianza divina” (Vaykrà, 14:47).
R. Schachter fa notare che il Maimonide (Cordova, 1138-1204, Il Cairo) non ha elencato il principio del libero arbitrio tra i tredici principi della Torà (che ripetiamo ogni giorno dicendo Igdal E-lohim Chay).
Con tutto ciò è chiaro che il Maimonide lo considera uno dei principi della Torà da quello che scrive nelle Hilkhòt Teshuvà (5:3), (lett. le regole del ritorno) cioè del ritorno sulla retta strada dopo aver sviato.
In questo passo il Maimonide scrive: “Questa cosa è un grande principio ed è una colonna della Torà e della Mitzvà, come è detto: «Vedi che ho dato oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male» (Devarìm, 30:15) ed è scritto: «Guardate, io pongo oggi dinanzi a voi la benedizione e la maledizione». Questo per dire che la scelta è nelle vostre mani, e tutto quello che l’uomo desidera fare nel quadro delle azioni umane, lo può fare, sia buone sia cattive. E per questo è detto: «Magari rimanesse in loro questa loro volontà’ di temermi e di osservare i miei precetti…» (Devarìm, 5:29) Questo per dire che che il Creatore non costringe gli esseri umani e non decreta che facciano il bene o il male, ma tutto è dato a loro”.
R. Schachter cita il profeta Geremia (9:22) che dice che nessuno deve essere fiero della propria intelligenza, della propria forza e della propria ricchezza, che sono già determinate prima della nascita dell’individuo (Talmud, Niddà, 16b) e non sono necessariamente un’indicazione della grandezza di una persona. Tuttavia il timore del Cielo dipende dall’individuo e non è predeterminato. La Torà è assolutamente contraria all’opinione che tutte le decisioni che una persona prende nel corso della sua vita sono predeterminate, come è evidente da quello che è scritto nei versetti succitati che appaiono all’inizio della Torà.
È interessante notare, aggiunge r. Schachter, che quando il Maimonide formula questo principio nelle succitate Hilkhòt Teshuvà, invece di usare il termine “bechirà” (scelta, arbitrio) usa il termine “reshùt” (permesso). Egli cita r. Joseph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993, Boston) il quale suggerisce che la parola bechirà denota una scelta tra alternative fisse. La parola reshùt invece significa che l’uomo ha la possibilità di scegliere una strada che non gli è presentata come opzione. Questo per insegnare che anche coloro che non hanno avuto un’educazione ebraica, o addirittura hanno avuto un’educazione contraria ai principi della Torà, hanno la possibilità di crearsi a nuovo, così come il Creatore ha creato il mondo dal nulla, e di vivere da ebreo osservante.