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    Parashà di Mishpatìm: “Dei delitti e delle pene” secondo il Maimonide

    Questa parashà segue quella di Yitrò nella quale è scritto “Non desiderare la casa del tuo prossimo […] né alcuna cosa che appartiene al tuo prossimo” (Shemòt, 20:17). R. “Ovadià Sforno (Cesena, 1475-1550, Bologna) commenta che in questa parashà la Torà viene a insegnare il significato di “quello che appartiene al tuo prossimo”.

                Riguardo a chi si impossessa di cose che non gli appartengono, la Torà specifica che chi si rifiuta di restituire dei valori che appartengono ad altri (gazlàn), come per esempio, un pegno o lo stipendio di un dipendente, viene obbligato dal Bet Din a pagare quello che deve. Deve aggiungere un quinto del valore nella restituzione solo se aveva giurato falsamente di non dovere nulla (Vaykrà, 5:21-24; Maimonide, Mishnè Torà,Hilkhòt Ghezelà Ve-Avedà, cap. 7:1).  

                Il ladro (ganàv) invece deve ripagare il maltolto più un valore pari a quello della cosa rubata, come è scritto: “Se si scopre il ladro, questi pagherà il doppio” (Ibid, 22:7). La penale è più pesante per il furto di bestiame (abigeato): quattro volte per un ovino e cinque volte per un bovino (ibid., 21:37). Qual è il motivo di queste differenze? 

                Il Maimonide (Cordova, 1138-1204, Il Cairo) tratta questo argomento nelle Guida dei Perplessi (III, 41). Egli stabilisce quattro principi per la pena inflitta al colpevole: 

                Il primo è la gravità del crimine. Le azioni che generano gravi danno meritano una pena più grave di quelle che generano danni minori. 

                Il secondo è la frequenza del verificarsi del reato. Un delitto frequente esige una pena più grave come deterrente. 

                Il terzo è la forza dell’istinto (o anche attrazione). Un uomo può essere dissuaso dal seguire i propri istinti solo per il timore di una pesante punizione. 

                Il quarto è la facilità con la quale un delittro può essere commesso senza che nessuno se ne accorga. In questo caso il deterrente può essere solo il timore di una grave e pesante punizione.

                Nel caso di furto e di vendita o di successiva macellazione di ovini la pena è quattro volte il valore dell’animale, cioè il doppio della sanzione per un furto di altri beni mobili. il motivo per la pena più pesante per il furto di ovini è la maggiore facilità del crimine. Gli ovini vengono rubati nella maggior parte dei casi quando si trovano al pascolo dove non possono essere sorvegliati nello stesso modo che nei centri abitati. Per questo motivo i ladri di ovini generalmente li vendono in fretta affinché non vengano scoperti mentre sono in loro possesso o li macellano per farli scomparire. [Una cosa simile avviene oggi con le automobili rubate che vengono portate da ricettatori che le smontano e ne vendono le parti]. 

                La pena imposta per il furto di un bovino è cinque volte il valore dell’animale perché è più facile rubarli degli ovini. Mentre gli ovini pascolano tutti insieme, in modo che il pastore li può vedere e nella maggior parte dei casi i furti di ovini avvengono di notte, i bovini pascolano distanziati l’uno dall’altro, il pastore non li può sorvegliare e per questo motivo il loro furto è più frequente.  

                Nel Talmud (Bavà Kamà, 79b) è raccontato che i discepoli di r. Yochanan ben Zakkai gli chiesero per quale motivo la Torà è più rigorosa nella punizione del “ganav” che deve risarcire il doppio mentre il “gazlan” deve restituire solo quello di cui si è impossessato. R. Yochanan rispose: il “ganav” ha commesso il crimine di nascosto e significa che ha timore degli uomini ma non del Santo Benedetto. Mostra così di essere un miscredente. Il “gazlan” invece si impossessa delle cose altrui di forza e non di nascosto. Non è un miscredente perché agisce in questo modo per avidità senza pensare che verrà giudicato per le sue malefatte (Me’am Lo’ez).  

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