Alla fine della parashà è scritto: “Non avrai nella tua borsa due pesi diversi, uno grande e uno piccolo. Né terrai a casa tua due misure diverse, una grande e una piccola. Avrai un peso regolare e giusto e una misura regolare e giusta, onde si prolunghino i tuoi giorni sulla terra che l’Eterno ti concede; perché è abominevole all’Eterno tuo Dio chi fa queste cose, chiunque commetta iniquità” (Devarìm, 25:13-16).
R. Shimshon Rafael Hirsch (Amburgo, 1808-1888, Francoforte) nel suo commento alla Torà spiega cosa significa avere pesi e misure diverse. La proibizione consiste nel possedere pesi e misure diversi dallo standard, come per esempio un peso marcato “un chilo” ma più pesante, usato per comprare. E un peso marcato “un chilo” ma più leggero dello standard usato quando si vende.
Con questo la Torà dichiara che chi è disonesto con pesi e misure è abominevole agli occhi dell’Eterno. L’onestà nei rapporti di affari è un principio fondamentale dell’ebreo nella vita sociale, in modo simile in cui il comportamento appropriato nei rapporti con l’altro sesso è un principio fondamentale dell’ebreo nella sfera morale. Questo concetto fu espresso anche da re Salomone nei Proverbi (11:1): “La bilancia falsa è in abominio al’Eterno, ma del peso esatto Egli si compiace”.
Nella nostra parashà queste mitzvòt sono comunicate al popolo che si appresta ad entrare nella Terra Promessa. Mentre nel deserto si viveva di manna, ora il popolo avrebbe vissuto di agricoltura e di commercio. Anche il solo possesso di pesi e misure false sarebbe stato proibito.
L’autore catalano del Sefer Ha-Chinùkh (XIII sec.) scrive che mentre la proibizione di rubare viene trasgredita solo se il valore del furto è superiore a una perutà, la più piccola moneta di rame in uso in Eretz Israel, usando pesi e misure false si trasgredisce per qualunque differenza. Per questo i venditori scrupolosi erano incoraggiati ad aggiungere sempre qualcosa al prodotto in vendita per evitare di dare meno della misura dichiarata.
Nel trattato Bavà Batrà (88b) i maestri affermano che mentre un ladro pentito può restituire il maltolto al proprietario, chiedere scusa e in questo modo fare teshuvà, chi deruba il prossimo usando pesi e misure false non potrà mai fare una teshuvà completa. Rashbam (Troyes, 1085-1158, Ramerupt), nipote di Rashì, spiega che chi deruba il prossimo con delle misure false non può fare teshuvà perché avendo derubato tante persone non sa chi sono state le vittime delle sue truffe. Nel Talmud (Bavà Metzià, 61b) i maestri chiedono per quale motivo la proibizione di usare pesi e misure false non è compresa nella proibizione di rubare. Essi rispondono che questa è una proibizione addizionale a quella di rubare, perché sussiste già quando si fabbricano i pesi falsi, anche prima di farne uso.
Nella parashà di Kedoshìm (Vaykrà, 19: 35-36) è scritto: “Non commetterete iniquità nel giudizio, nelle misure di lunghezza, nelle misure di peso, e nelle misure di capacità. Bilance eque, pesi giusti, efà equa, hinequo. Io sono l’Eterno, l’Iddio vostro, che v’ho tratto dal paese d’Egitto”. Nel succitato passo talmudico i maestri chiedono per quale motivo nella Torà è menzionata l’uscita dall’Egitto nella proibizione dei pesi. La risposta è che il Santo benedetto che in Egitto durante la decima piaga seppe distinguere tra chi era primogenito tra gli egiziani e chi non lo era, sa anche chi truffa mettendo i suoi pesi nel sale per ridurne il peso.
Per evitare perdite di peso, nel trattato Bavà Batrà (89b) i maestri affermano anche che i pesi devono essere fatti di pietre dure o di vetro e non di stagno o di altri metalli che si deteriorano.