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    IDEE - PENSIERO EBRAICO

    Parashà di Devarìm: Come riparare il peccato degli esploratori

    R. Shimshon Refael Hirsch (Amburgo, 1808-1888, Francoforte) nell’introduzione al suo commento del libro di Devarìm, scrive che il quinto libro della Torà contiene le parole che Moshè disse al popolo d’Israele prima di separarsi da loro. Infatti, più tardi Moshè non sarebbe più stato colui che li avrebbe guidati a compiere la loro missione nel paese di cui avrebbero preso possesso.
    Il discorso di Moshè inizia con gli ammonimenti al popolo. Tra questi, Moshè ricorda i peccati commessi dalla generazione deceduta nel deserto per aver mancato di fiducia nell’Eterno ed aver prestato invece fede nelle parole di dieci dei dodici esploratori che avevano affermato che la conquista della terra di Cana’an sarebbe state impossibile.
    Nella parashà è scritto: “Ma voi non voleste salirvi, e vi ribellaste all’ordine dell’Eterno, del vostro Dio; mormoraste nelle vostre tende, e diceste: L’Eterno ci odia, per questo ci ha fatti uscire dal paese d’Egitto per darci in mano agli Amorei e per distruggerci” (Devarìm, 1: 26-27).
    R. ‘Ovadià Sforno (Cesena, 1475-1550, Bologna) commentando le parole “Ma voi non voleste salirvi” spiega: “Voi manifestaste la vostra malvagità dimostrando che la missione [degli esploratori] non era quello di scegliere [durante il periodo iniziale della vostra conquista], la parte migliore del paese, come avevo pensato e voi avevate indicato. Invece il vostro intento nel mandare gli esploratori era stato di vedere se il paese era conquistabile o meno. Così mostraste di non avere fiducia che l’Eterno ve l’avrebbe potuta dare. E quando gli esploratori dissero che vi abitava un popolo molto forte, vi rifiutaste di andarci”.
    Rashì (Troyes, 1040-1105) commenta le parole “L’Eterno ci odia” e scrive: “Egli invece vi ama, ma siete voi che Lo odiate. È come quel proverbio che dice: Tu immagini che quello che pensi del tuo prossimo sia quello che lui pensa di te. [E così avete detto che l’Eterno] ci ha fatto uscire dalla terra d’Egitto perché ci odia […], e che l’Egitto [è migliore perché] è irrigato continuamente dal Nilo, mentre la terra di Cana’an ha bisogno della pioggia. E ci ha fatto uscire dall’Egitto per darci la terra di Cana’an [che è inferiore]”.
    Questo episodio viene ripetuto con parole simili nei Tehillìm (Salmi, 106: 24-25) dove è scritto:”Disprezzarono un paese di delizie, non credettero alla Sua parola. Mormorarono nelle loro tende, non ascoltarono la voce del Signore”.
    R. Moshè David Valle (Padova, 1797-1777) nel suo commento a questo salmo scrive:”E mormorarono nelle loro tende e non ascoltarono la parola dell’Eterno che aveva promesso di fare cadere a fil di spada di fronte a loro tutti gli abitanti del paese. Ed essi ebbero la sfrontatezza dire che quei popoli erano più forti dell’Eterno come spiegarono i Maestri. (Tradotto dall’edizione in ebraico di Yosef Spinner, Gerusalemme).
    R. Valle aggiunge che questo peccato nei confronti dell’Eterno fu assai grave perché mostrò totale mancanza di fiducia in Lui. Da qui derivò la punizione dell’esilio in modo che i discendenti si rendessero conto che nessun paese valeva tanto quanto il loro paese.
    R. Valle afferma che il peccato degli antenati che disprezzarono [la terra di Cana’an] non verrà riparato fino a quando i discendenti mostreranno per essa un grande desiderio, come è detto: “Tu sorgerai, avrai pietà di Sion, perché è tempo di impietosirsi, che è venuto il termine; perché i Tuoi servi ne han care le pietre e ne commiseran la polvere (Salmi, 102: 14-15. Trad. R. Lelio della Torre, Vienna, 1845).
    R. Valle conclude dicendo: “Questo per dire che una cosa dipende dall’altra e cioè che non verrà il momento di aver pietà di Sion fino a quando i suoi figli la desidereranno nel modo più estremo per riparare il peccato del disprezzo per essa che ebbero gli antenati”.

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