Israele è sotto attacco dalla sua fondazione, anche prima. Chi oggi dice che lotta contro Israele per via dell’”occupazione” dei “territori palestinesi” deve spiegare perché il terrorismo c’era anche prima del ‘67. E chi risponde che Israele è l’occupazione (come dicono tanto Hamas che Fatah) deve spiegare perché le stragi di ebrei sono iniziate ben prima dell’indipendenza, poco meno di un secolo fa. Il fatto è che questi attacchi si succedono in fasi, a seconda della capacità di autodifesa di Israele. Prima vennero i pogrom, poi le guerre degli stati arabi, la “guerra d’attrito” degli attacchi individuali, il terrorismo degli aerei, quello delle bombe negli autobus e nei locali pubblici, da qualche anno vi è quello dei missili (da Gaza), del “terrorismo popolare” delle automobili e dei coltelli, le “marce del ritorno” che attaccano i confini. Tutti i sistemi passati e anche questi falliscono, perché sono efficacemente contrastati. Sembra cinico anche solo dirlo, ma i palestinisti cercano di uccidere gli ebrei e provocano la loro stessa morte non perché sperino davvero di sconfiggere Israele, ma per fare notizia sui giornali e aiutare i loro sostenitori all’Onu e in Europa a danneggiarlo. I media sono decisivi in questo tentativo grottesco e masochista, sottolineando le reazioni israeliane e nascondendo gli attacchi terroristi. Bisogna contrastare questa tendenza, non solo mostrando quel che fa il terrorismo, ma anche chiarendo che Israele lavora contro la guerra. La settimana scorsa Hamas ha fatto il possibile con razzi e tentativi di invasione per provocare un’operazione di terra israeliana, che sarebbe stata certamente sanguinosa. Netanyahu ha bloccato la guerra, anche prendendosi, in piena campagna elettorale, il rischio di polemiche sulla sua “mollezza”. Diciamolo: se non c’è oggi guerra a Gaza, morte e distruzione per civili israeliani ed arabi, il merito è di Israele. Ma naturalmente i terroristi ci riproveranno.