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    La sentenza della Corte Suprema USA sull’aborto: cosa ne pensa l’ebraismo ortodosso. “Non tutto è permesso e non tutto è proibito”. I pensieri religiosi non sono tutti uguali. – Intervista al Rabbino Capo Riccardo Di Segni

     

    Sulla decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti di abolire la sentenza “Roe v. Wade” sull’aborto, abbiamo chiesto al Rabbino Capo di Roma Riccardo Di Segni come l’ebraismo affronta questo tema e una riflessione sul rapporto delle istituzioni con le confessioni religiose.

     

    Che indicazioni ci dà l’ebraismo su questa materia?

     

    Il primo dato da tener presente è che l’aborto è un evento negativo. La perdita di un feto è considerata una disgrazia. Vi sono delle condizioni nelle quali questa disgrazia può essere il male minore, a fronte di mali peggiori. Ed è il caso in cui bisogna scegliere tra il feto e la vita della madre, e la preferenza è per la madre. In tutte le altre situazioni c’è una discussione articolata e non c’è sempre unanimità. L’opinione prevalente è che si debba tutelare non solo la vita ma anche la salute fisica e mentale della madre messe a grave rischio da una gravidanza. Su alcune situazioni drammatiche come il riscontro di gravi malformazioni fetali le opinioni non sono unanimi. Se a seguito di uno stupro c’è una gravidanza indesiderata, c’è chi permette l’aborto.

     

    Quando si deve valutare un caso per prendere una decisione, chi è che lo fa nel mondo ebraico? Il parere della donna è rilevante?

     

    Essendo in gioco l’equilibrio mentale della madre il suo ruolo è decisivo. Teoricamente chi decide su questioni halakhiche è un’autorità rabbinica competente. Ma nelle nostre società le persone di solito decidono per conto loro e interrogano i rabbini solo per allargare l’orizzonte della valutazione. Talora succede che la domanda su come comportarsi riguardi solo il trattamento del feto (se vada sepolto ecc.) e non tutto quello che avviene prima.

     

    Quale è la posizione del mondo ebraico ortodosso sulla sentenza?

     

    Vi sono stati pronunciamenti da parte di organizzazioni  rabbiniche ufficiali come l’Orthodox Union. Il concetto che hanno sottolineato è che questa decisione non li rallegra nè li rattrista. I sistemi legali sono differenti. Per sintetizzare, nell’ebraismo non tutti gli aborti sono permessi e non tutti sono proibiti. Certamente l’ebraismo ortodosso non accetta la posizione della totale libertà di decisione sostenuta ideologicamente da molti gruppi nè i rigori assoluti degli antiabortisti.

     

    Veniamo all’Italia. La Costituzione italiana regola i rapporti tra Stato e confessioni religiose che possono organizzarsi con i propri statuti. Tali rapporti sono regolati dalle intese. Che valenza ha l’Intesa tra Stato ed ebraismo italiano in questo senso?

     

    In generale ogni sistema giuridico (come quello dello Stato o quello della halakhà) può permettere, proibire o obbligare. Il conflitto tra i sistemi nasce ad esempio quando lo Stato obbliga a fare cose proibite (come trasgredire lo Shabbat) o proibisce comportamenti che noi siamo obbligati a fare (ad es. la circoncisione). Nel nostro caso la scelta di abortire non è un obbligo religioso, è una facoltà concessa in determinati casi. Per cui il conflitto tra sistemi è più delicato ed è difficile parlare di diritto religioso conculcato, come ha provato a fare negli Stati Uniti qualche organizzazione ebraica neppure tanto ortodossa. In Italia l’aborto è permesso e l’ebrea che vuole abortire o non abortire decide usando lo spazio di libertà concessole dalla legge. Se in Italia dovesse tornare il divieto in alcuni casi (come ora negli Stati Uniti) ci troveremmo in difficoltà ma sarebbe complicato invocare il diritto religioso. È un po’ quello che è successo con i referendum sulla procreazione assistita, in cui la legge proibisce cose a noi permesse (come la diagnosi preimpianto). In quel caso abbiamo fatto sentire la nostra voce (o meglio la nostra vocina) per rappresentare che non si può sempre parlare in nome della religione come se tutte le religioni la pensassero allo stesso modo.

     

    Il dialogo tra istituzioni e i rappresentati delle varie religioni può essere costruttivo o persino necessario?

     

    Certo che lo è. In particolare per due motivi. Il primo è che c’è una tendenza molto intollerante a criminalizzare qualsiasi pensiero religioso per il solo fatto che lo sia. Invece noi dobbiamo affermare il diritto alle nostre opinioni e alle nostre tradizioni e partecipare come ogni altro cittadino alla costruzione di un sistema comune. Noi portiamo ricchezza e saggezza e non vogliamo imporre. L’altro motivo per cui il nostro pensiero va fatto conoscere è che esiste una tendenziosa contrapposizione manichea tra religione e laicità dove per religione si intende quella cattolica. Anche se vi sono radici comuni e punti di incontro, il nostro pensiero non può essere omologato a quello di altri, come qualcuno sta tentando di fare. Mi sta bene dire che le religioni sono unite a tutelare gli indifesi. Ma quando c’è una donna incinta per aver subito una violenza chi è l’indifeso?

     

    Statement della Union of Orthodox Jewish Congregations of America sulla decisione della Corte Suprema

     

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