E’ un’immagine potente quella che ritrae Avrham Mintz e ZoherAbu – ebreo il primo, musulmano il secondo – mentre pregano insieme davanti a un’ambulanza del Maghen David Adom, il servizio di soccorso sanitario israeliano per il quale entrambi lavorano come paramedici. Un tappeto su cui inginocchiarsi per Zoher che guarda dritto davanti a sé, verso la Mecca. Un talled in cui avvolgersi per Avrham che, in piedi, recita la sua tefillà con lo sguardo rivolto a Gerusalemme. Sono di spalle l’uno all’altro ma non evocano distanze quanto piuttosto una vicinanza inedita e carica di speranza. “Questa è una malattia che non fa distinzione di religione o di altro genere. Le differenze le metti da parte. Lavoriamo insieme, viviamo insieme. Questa è la nostra vita”, dice Abu. Troppe le emergenze da affrontare davanti agli oltre 3600 casi di Covid19 già accertati in Israele, almeno dodici morti e richieste di aiuto dieci volte più elevate rispetto alla media: se ne registrano anche 100mila al giorno nelle giornate più critiche. Impossibile fermarsi, anche solo impensabile organizzare dei “turni” di preghiera. “Cerchiamo di pregare insieme – afferma Avrham – anziché prenderci dei momenti separati”. E così fanno, in uno dei rari momenti di pausa dal lavoro, mentre un collega li immortala a loro insaputa in uno scatto destinato a rimanere nella storia. La foto, scattata a Be’er Sheva e pubblicata su Facebook e su Instagram, sta già facendo il giro del mondo mentre qualcuno si domanda se questa tremenda pandemia che allontana e isola le persone non stia in realtà producendo l’effetto opposto. Perchépossente come l’immagine è il messaggio che l’accompagna: “Una bellissima foto che mostra come gli israeliani si uniscono in un periodo di crisi. Siamo felici che questa potente immagine abbia ispirato le persone in tutto il mondo e in questo momento difficile”.