Questa sera per tutto il popolo ebraico inizia la festa di Hannukka, che commemora un miracolo tutto sommato poco cospicuo: il lume perenne del Tempio, il cui rifornimento in olio era stato profanato dall’occupazione ellenistica, continuò a dar luce per una settimana con una boccetta che sarebbe dovuta durare solo un giorno. Non ho la pretesa di commentare qui il senso religioso della festa, ma, come quasi per tutte le celebrazioni ebraiche, per Hannukka bisogna vedere un’origine storica che riguarda il popolo ebraico e quindi anche un senso storico-politico. La durata oltre il limite previsto per il lume è facile da leggere come un simbolo della sopravvivenza multimillenaria di Israele nonostante l’oppressione, l’esilio, i tentativi di genocidio. Se allarghiamo lo sguardo alla circostanza storica del miracolo vediamo una guerra, che in parte fu anche guerra civile, che nacque dalla resistenza alla spinta per l’ellenizzazione e l’annullamento dell’identità culturale ebraica. Da millenni gli ebrei hanno imparato a vivere in mezzo ad altri popoli, collaborando con essi, rendendosi utili, essendo buoni cittadini, riconoscendo le leggi del paese come proprie. Ma a questa positiva integrazione c’è un limite invalicabile: il rifiuto a scomparire come popolo, a perdere la tradizione religiosa, a subire quel genocidio culturale che è l’assimilazione imposta o scelta, a collaborare alla distruzione della propria identità – una collaborazione spesso segnalata dall’”odio di sé” di coloro che provenendo dal popolo ebraico hanno scelto di farsi portavoce del “superamento” del “particolarismo” e della “chiusura” ebraica, in nome di qualche ideale “superiore”. Contro questi pericoli i Maccabei ventidue secoli fa condussero una dura guerra di resistenza Oggi l’identità ebraica non si difende in questa maniera, ma la festa si celebra anche per insegnare che è necessario lottare ogni giorno per conservarla.