Per la terza settimana consecutiva, Hamas ha annullato venerdì scorso la “grande marcia per il ritorno”, cioè la turbolenta manifestazione con cui da un anno e mezzo, ogni settimana portava i suoi sostenitori sotto la barriera di confine con Israele a gridare il loro odio, ma soprattutto a coprire i tentativi d’assalto dei suoi terroristi, armati di tronchesi e bombe molotov ma spesso anche di armi da fuoco vere. L’idea era che se i terroristi riuscivano a superare il confine, avrebbero potuto fare danni seri, per esempio rapire un israeliano. Se non ci riuscivano per la reazione dell’esercito, ci sarebbero stati morti e feriti, magari donne e bambini usati come scudi umani, per alimentare la propaganda contro Israele. Ora non ci provano più da tre settimane. Agatha Christie scrisse una volta che “Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova.” Possiamo dire che qualcosa è certamente successo. Per esempio il fatto che le manifestazioni una volta ricche di decine di migliaia di persone, negli ultimi tempi erano dimagrite molto. Forse la gente si era accorta che erano inconcludenti e pericolose. Così c’è stata anche pochissima partecipazione alla “giornata della rabbia” proclamata per protestare contro la dichiarazione americana che gli insediamenti in Giudea e Samaria non sono illegali. E Hamas non ha preso parte all’ultima serie di lanci di razzi organizzata dai concorrenti della Jihad Islamica: altri indizi. Dunque non solo gli arabi di Gaza e di Giudea e Samaria non hanno voglia di farsi ammazzare per coprire i terroristi, ma questi preferiscono non provocare battaglie con l’esercito israeliano, probabilmente perché sanno di non avere chances. Non è la pace, naturalmente. Ma una tregua sì, derivante dalla deterrenza israeliana, riaffermata soprattutto contro la casa madre del terrorismo, l’Iran. Una deterrenza ristabilita senza sanguinose operazioni terrestri, grazie alla lucida intelligenza strategica di Bibi Netanyahu.