C’è stata molto sdegno in Israele per la notizia che il sito di affitti di appartamenti Airbnb aveva deciso di boicottare le case in Giudea e Samaria (http://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/254952), e giustamente, visto che niente del genere è fatto per altri territori contesi come la parte occupata dalla Turchia di Cipro. Sono intervenuti ministri e parlamentari, si è annunciata un’azione legale (https://www.jns.org/judea-and-samaria-apartment-owners-file-class-action-against-airbnb-in-jerusalem/). In realtà il danno economico non è grave. Se si vuole affittare un appartamento in un villaggio di Giudea e Samaria, ci si può rivolgere alla società concorrente Booking.com, o a molte organizzazioni locali che si trovano facilmente in rete. E il turismo in Israele, da anni in grande crescita, assicura che queste opportunità saranno colte. Del resto il boicottaggio di Israele in generale non funziona, se si considerano i suoi risultati concreti. L’economia israeliana continua a essere molto forte e i boicottatori antisemiti non riescono a danneggiare davvero neanche le imprese che attaccano. Ma resta il senso dell’offesa. Perché il boicottaggio in questo caso è una cancellazione simbolica, un modo di eliminare dall’immaginario quel che non si riesce a far sparire davvero: Israele, gli ebrei. Che si tratti dei libri di testo dei paesi musulmani, delle carte di certe linee aeree che ignorano i confini di Israele, delle lettere spedite dalla burocrazia italiana a residenti a “Gerusalemme, Palestina”, vi è sotto sempre una condanna a morte in effigie. E gli ebrei sanno bene che se “si inizia a bruciare i libri, si prosegue con le persone”, come scriveva Heine. Che poi il boicottaggio venga dall’Occidente e dai settori tecnologicamente avanzati, che magari usano tecnologia israeliana, è ancora più sgradevole. Che qualcuno pensi di essere buono e “progressista” eliminando simbolicamente gli ebrei, è segno dell’insensibilità morale del nostro tempo.