Ritrovato e messo online un diario davvero particolare. Si tratta delle memorie di Yitskhok Rudashevski, un quindicenne lituano rinchiuso nel ghetto di Vilna. Più di un anno dopo che i nazisti costrinsero Yitskhok Rudashevski a vivere tra le mura del ghetto, le sue memorie scritte all’interno di un piccolo diario, dimostrano come il ragazzo non si arrese alla barbarie nazista.
“Oggi abbiamo dimostrato che anche nelle tre stradine del ghetto, possiamo mantenere il nostro fervore giovanile. Abbiamo dimostrato che non sarà una gioventù spezzata quella che uscirà dal ghetto. Dal ghetto emergerà una gioventù forte, indurita e vivace”, scriveva Rudashevski nel suo diario datato dicembre 1942.
Dal primo ingresso nel giugno 1941 all’uscita nel giugno 1943, poco prima che i nazisti lo fucilassero vicino alla stazione ferroviaria di Ponary, Rudashevski ha raccontato la disperazione, la paura e la speranza che lui e decine di migliaia di ebrei sperimentarono all’interno del ghetto. Ora quel diario è al centro della seconda mostra online gratuita dell’Istituto YIVO per la Ricerca Ebraica, “Yitskhok Rudashevski: A Teenager’s Account of Life and Death in the Vilna Ghetto”, inaugurata il 17 luglio. “Il diario di Yitzhak è scritto in maniera davvero particolare. La sua sottigliezza e raffinatezza nella scrittura cattura l’intensità di ciò che sta accadendo all’interno del ghetto”, ha spiegato Alexandra Zapruder, co-curatrice della mostra.
Rudashevski nacque nel dicembre 1927 a Vilna, in Lituania. Suo padre era un tipografo per il Vilner Tog, il quotidiano ebraico, e sua madre era una sarta. Anche se non particolarmente religiosa, la famiglia di Rudashevski aveva un profondo senso dell’identità ebraica. Rudashevski frequentò una scuola ebraica scrivendo e leggendo in yiddish. Alla fine dell’agosto del 1941, due mesi dopo l’invasione tedesca, migliaia di ebrei furono inviati e costretti a vivere nel ghetto del vecchio quartiere ebraico di Vilna. Rudashevski fu stipato in una stanza con 10 membri della famiglia, tra cui i suoi genitori, la nonna e il cugino. A settembre, le autorità divisero gli ebrei in due ghetti separati. Circa 30.000 furono traferiti nel ghetto più grande, o “Ghetto I”, e 11.000 nel “Ghetto II”.
Dopo il giorno dello Yom Kippur, Rudashevski raccontò di come la sua famiglia venne costretta a lasciare la nonna nel ghetto più piccolo: “Veniamo a sapere che alle persone anziane non è permesso passare attraverso il cancello. La nonna non può venire con noi. Diciamo subito addio alla nonna, per sempre. La lasciamo in piedi in mezzo alla strada e corriamo a salvarci. Non dimenticherò mai le sue due mani imploranti e i suoi occhi che ci pregavano di portarla via. Gridava ‘Portami con te!’” scriveva tra le pagine. Un’altra annotazione, scritta il 5 aprile 1943, catturava l’orrore di sentire parlare delle fosse di esecuzione vicino a Ponary, nota anche come Ponar, dove circa 100.000 persone furono uccise in tre anni.
“Oggi abbiamo ricevuto la terrificante notizia: 85 vagoni ferroviari di ebrei, circa 5.000 persone, non sono stati portati a Kovno come era stato loro promesso, ma sono stati portati in treno a Ponar, dove sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco. 5.000 nuove vittime. Il ghetto fu profondamente scosso, come colpito da un tuono. Lo stato d’animo del massacro si è impadronito della popolazione. È ricominciato”, scriveva l’adolescente. “Rudashevski ha capito cosa c’era in gioco”, ha spiegato Jonathan Brent, CEO di YIVO. “Ci sono molti diari recuperati dalla guerra, eppure ciò che rende speciale questo è la sua acuta consapevolezza della situazione. Non giudica quasi mai, ci si limita a presentare ciò che fu”.
Dopo la guerra, il cugino di Rudashevski trovò il diario e lo consegnò al suo mentore, Abraham Sutzkever, membro della Brigata di Carta, un gruppo che salvò migliaia di documenti nel ghetto. A parte il diario, di cui YIVO ha recentemente commissionato una nuova traduzione in inglese, la mostra include documenti che Rudashevski usò nel suo periodo di permanenza nel ghetto, oltre a fotografie e immagini di vari manufatti. “Quando pensiamo alla Shoah, generalmente pensiamo solo ai campi di concentramento. Questa mostra è una grande opportunità in cui si evidenziano i diversi modi in cui le persone hanno resistito”, ha raccontato la co-curatrice della mostra Karolina Zulkoski.