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    Che cosa lega la guerra in Ucraina e gli accordi che Biden sta per firmare con l’Iran

    L’attenzione del mondo è concentrata sull’assedio politico e militare cui la Russia sta sottoponendo l’Ucraina: una morsa che si stringe ogni giorno un po’, nella convinzione di ottenere la vittoria, cioè la resa dell’Ucraina, senza il bisogno di affrontare una guerra vera e propria, che è sempre rischiosa. Putin sta applicando le vecchie ricette belliche di Sun Tzu: vincere senza combattere, intimorire i nemici, dividerli dai loro alleati, ma essendo pronti se sarà necessario a usare le armi. Dato che gli Usa e l’Unione Europea hanno fatto grandi discorsi sdegnati per l’infrazione alla legalità internazionale e la minaccia di guerra, ma non hanno fatto nulla di sostanziale per fermare l’aggressione, è probabile che alla fine Putin ce la faccia. E magari Biden rifarà la mossa di Chamberlain che, subito dopo gli “accordi”, cioè in sostanza la resa di Monaco del 30 settembre 1938, si vantò di “aver salvato la pace”. Bastò che passassero una decina di mesi e si vide chiaramente di che pace si trattava.

     

    Ma oltre questo scenario, che è la seconda sconfitta dell’amministrazione Biden dopo la ritirata ingloriosa dall’Afghanistan, vi è un altro fronte aperto e altrettanto pericoloso: è la riedizione degli accordi con l’Iran, che sembra ormai prossima alla conclusione. A quanto pare dalle indiscrezioni che sono uscite, si tratta di un accordo breve: dovrebbe durare solo fino al 2025, quando scadevano gli accordi originali firmati da Obama; i tentativi americani di prolungarne la scadenza, duramente respinti dall’Iran, non devono essere stati molto convinti, sicché fra tre anni l’Iran potrà fabbricarsi l’atomica senza subire sanzioni. È anche un accordo debole, che non colma i buchi rilevati da tutti nell’accordo precedente, per esempio nell’esenzione dei siti militari dalle ispezioni dell’Agenzia dell’Onu (AIEA) che dovrebbe vigilare sulla loro applicazione. E non è chiaro che fine farà la grande quantità di uranio arricchito accumulata dall’Iran: magari se li terranno con le centrifughe, per ricominciare nel ‘25 o alla prima crisi. 

     

    La conclusione dell’accordo ha suscitato grandissimo allarme in Israele, che ha tentato, a quanto pare invano, di indurre gli Usa a rinunciarvi e ha dichiarato che non si sentirà legato ai termini che saranno stabiliti e che si riserva di difendersi dall’armamento atomico dell’Iran e anzi che non accetterà che l’Iran diventi uno stato “al confine del nucleare”  cioè che predisponga il suo processo di sviluppo delle armi atomiche in maniera tale da fermarsi a poche settimane dalla sua attivazione.  Altrettanta preoccupazione si è espressa nei paesi del Golfo, che ormai hanno stretto una vera alleanza militare con Israele, che è il solo a voler fermare l’Iran, che minaccia anche loro.

     

    Che cosa c’è di comune in queste due crisi? Molto più di quel che si crede. La Russia è il grande protettore dell’Iran, gli ha fornito le sue armi più avanzate, difende in maniera sempre più assertiva il principale stato vassallo dell’Iran, cioè la Siria. La quale ha appena ricambiato, essendo la prima a riconoscere le “repubbliche autonome” stabilite dalla Russia nella parte orientale del territorio ucraino. Vale la pena di citare anche la seconda entità che si è schierata per il riconoscimento del Donbass: sono gli Houthi, i ribelli dello Yemen che quotidianamente cercano di bombardare l’Arabia e gli Emirati e minacciano di farlo con Israele. Insomma tutto il “fronte del rifiuto” (loro dicono “della Resistenza”, naturalmente contro Israele), mantenuto e comandato dall’Iran, si è allineato con la Russia anche in occasione della crisi ucraina.

     

    La cosa che va sottolineata e fa pensare è che gli Usa, per quanto riguarda il Medio Oriente, sono alleati con la Russia, cioè con il loro avversario nella questione ucraina; e fra l’altro lo sono anche con il nemico della terza grande crisi strategica mondiale, cioè con la Cina che vuole impadronirsi di Taiwan, alleato degli americani. Insomma, come ha a lungo sostenuto Netanyahu e come continua a dire il governo attuale, sia pure con meno autorità e decisione, gli Usa in Medio Oriente si sono schierati contro i loro alleati storici, prima di tutto Israele, ma anche Arabia, Emirati, Egitto, e a favore dei loro espliciti nemici. Questa contraddizione è uno dei punti caratterizzanti della posizione recente delle amministrazioni democratiche, prima di Obama e ora di Biden. È una posizione ideologica, fortemente sostenuta dall’estrema sinistra del partito. In questo momento di trasformazione e crisi si può solo sperare in un tardivo ripensamento di Biden. Perché se non fosse così, questa sarebbe la terza resa dell’amministrazione democratica. E probabilmente porterebbe, dopo la guerra più o meno mascherata in Ucraina, a una situazione bellica anche in Medio Oriente.

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