Il documento approvato dalla Commissione dell’Unione europea il 5 ottobre 2021 è il coronamento di un percorso iniziato con l’approvazione da parte del Parlamento europeo della definizione IHRA di antisemitismo.
Il riferimento esplicito alla definizione IHRA, con i suoi indicatori sulle nuove forma di antisemitismo (che hanno come sfondo la demonizzazione di Israele e del sionismo), è un elemento chiave da cui non si potrà in prospettiva prescindere nella definizione di una strategia adeguata in ambito educativo e comunicativo, ma anche politico e diplomatico.
Come per il Patto di Abramo, in cui per la prima volta gli ebrei nella Regione sono accettati anche da un punto di vista religioso, come nazione indipendente e non come minoranze “protette”, le implicazioni sono profonde e potranno coinvolgere in futuro anche la politica estera.
Faccio un esempio. Se uno Stato che fa parte dell’ONU può arrogarsi il diritto di minacciare di sterminio lo Sato di Israele, come dovremmo definire tutto questo? Se delle organizzazioni terroristiche hanno come programma la distruzione di Israele, come dovrebbe rapportarsi la Comunità internazionale. Se nei libri di testo utilizzati nelle scuole dell’UNRWA col finanziamento dell’UE si veicola l’antisemitismo nelle sue forme vecchie e nuove, come dovrà reagire l’UE. E con le ONG che in nome di una malintesa solidarietà verso i diritti palestinesi, veicolano il pregiudizio antiebraico e anti israeliano, come si dovranno rapportare i governi e la stessa UE? Non dovranno anch’esse dotarsi di un codice etico che tenga conto del problema?
Non è ovviamente qui in discussione il diritto alla critica di questo o di quel governo israeliano. La critica è il sale della democrazia e in Israele se ne fa largo uso. La politica è fatta di mediazioni e di compromessi che rendano possibile la convivenza amichevole fra popoli e nazioni.
Sono in discussione le forme della critica, i doppi standard. Per non parlare della delegittimazione del diritto ad esistere e della demonizzazione. L’adozione della definizione IHRA delle linee guida per combattere l’antisemitismo nelle sue diverse forme, offre l’opportunità di porre correttamente il problema sul piano educativo e dell’informazione.
Guardando ai problemi in una prospettiva di lungo periodo è un grande cambiamento. Due decenni fa il Presidente Chirac poteva manifestare fastidio se qualcuno sollevava il problema del pericolo antisemita in Francia. Per non parlare di quando un ministro francese aveva fatto distinzione fra le vittime non ebree e quelle ebraiche, definendo le prime “vittime francesi innocenti”. Come se le vittime ebree non fossero anch’esse francesi e innocenti. Andando indietro nel tempo, nel 1982, nel corso di una manifestazione sindacale a Roma un gruppo di manifestanti si staccò dal corteo per deporre una lapide in segno di “protesta antisionista” vicino alla lapide che ricorda i rastrellamenti nazisti del 16 ottobre 1943. Per non parlare della vasta zona grigia che ha permesso al terrorismo di matrice palestinese di muoversi liberamente nelle maglie della società europea in nome di una malintesa solidarietà verso i diritti nazionali dei palestinesi. Affermare come fa il documento UE, fortemente voluto dalla Cancelleria tedesca, che l’antisemitismo nelle sue diverse forme più antiche e recenti rappresenta un pericolo globale, che deve essere affrontato con una strategia articolata e differenziata, è un grande saldo di qualità politico e morale che finalmente chiama le cose per nome e obbliga le istituzioni a farsi carico del problema. Da ora non è più possibile chiudere gli occhi attraverso i falsi distingui. C’è un documento che in prospettiva dovrà impegnare i governi anche nella loro politica estera. In parte già si è visto con la decisione di molti Stati democratici di non partecipare all’Assise sul “razzismo” di Durban per le profonde derive antisemite che l’hanno caratterizzata.
David Meghnagi, Presidente del Comitato accademico europeo per la lotta all’antisemitismo e per lo sviluppo della cooperazione accademica. Senior Prof. Roma Tre