
È morto il regista Marcel Ophuls, autore del celebre documentario “Le chagrin et la pitié” sulla complicità francese con i nazisti durante la Seconda guerra mondiale. Aveva di 97 anni. Nonostante Ophuls, nel 1989, avesse vinto l’Oscar con “Hôtel Terminus”, incentrato sulla figura del criminale di guerra nazista Klaus Barbie, fu il documentario “Le chagrin et la pitié” a segnare una svolta, non solo nella sua carriera, ma anche nel modo in cui la Francia affrontava il suo passato.
Nato a Francoforte sul Meno il 1° novembre 1927, Marcel Ophuls era figlio del noto regista tedesco Max Ophuls, autore di “La Ronde”, “Lettera da una sconosciuta” e “Lola Montès”. Quando Hitler salì al potere nel 1933, fuggì insieme alla famiglia dalla Germania e si trasferì in Francia. Nel 1940, mentre le truppe naziste si avvicinavano a Parigi, scappò di nuovo, attraversando la Spagna e il Portogallo per poi arrivare negli Stati Uniti. Qui Marcel Ophlus divenne cittadino americano e in seguito si arruolò nell’esercito e inviato nel Giappone occupato. Tornato in Francia negli anni ’50, cominciò la sua carriera prima come assistente alla regia – anche nell’ultimo film del padre, “Lola Montès”(1955), poi come regista con diversi lungometraggi tra cui “Banana Peel” (1963), una commedia con Jean-Paul Belmondo e Jeanne Moreau e con “Fire at Will”, che però non ebbe grande successo.
A quel punto il suo percorso cambiò. Nel 1969 Ophuls realizzò il documentario “Le chagrin et la pitié” che scardinava il mito della Francia resistente sotto l’occupazione nazista, sottolineando invece la dura realtà della collaborazione con il regime Vichy. Candidato all’Oscar nel 1972, il documentario, girato in bianco e nero e della durata di quattro ore e mezza, puntava l’obiettivo su Clermont-Ferrand, una città di provincia nel cuore della Francia. Attraverso lunghe e schiette interviste con contadini, commercianti, insegnanti, collaborazionisti, membri della resistenza francese, Ophuls metteva a nudo le ambiguità morali della vita sotto l’occupazione. Il film fu una resa dei conti storica che mise alla prova sia la memoria nazionale che l’identità nazionale. Considerato troppo provocatorio e divisivo, il documentario fu censurato dalla televisione francese fino al 1981.
Nel 1972 produsse “A Sense of Loss” sui conflitti nell’Irlanda del Nord e nel 1976 “The Memory of Justice”, vincitore Golden Globe come miglior documentario, con il quale faceva un’ampia riflessione sui crimini di guerra a Norimberga ma tracciava anche scomodi parallelismi con le atrocità di Algeria e Vietnam.
Nel 1989 il regista vinse il premio Oscar per il Miglior documentario con “Hôtel Terminus – Klaus Barbie, sa vie et son temps”, sul famigerato criminale nazista, noto come “Il macellaio di Lione”.
Nel 1991 realizzò “November Days”, un ritratto dell’indebolimento della leadership politica della Germania dell’Est, in seguito “Veillees d’Armes”, girato durante la guerra nella ex Jugoslavia e “Un Voyageur” (2012), un autoritratto sulla sua esperienza. “Attraverso uno sguardo personale e un’intransigenza morale rara, Marcel Ophüls ha saputo cogliere le tracce indelebili che la Storia lascia nelle vite umane. – ha ricordato suo nipote Andreas-Benjamin Seyfert – Ci esortava a restare lucidi, vigili e profondamente legati alla democrazia. Con lui se ne va una voce necessaria, testimone delle ombre del XX secolo e infaticabile cercatore di verità. Ma il suo cinema resta, vivo e indispensabile”.