
Il 20 novembre 1945, nella Saal 600 del Palazzo di Giustizia di Norimberga, si apriva il più importante procedimento giudiziario del Novecento: il processo ai principali capi della Germania nazista. Ottant’anni dopo, quel giorno continua a rappresentare un punto di svolta nella storia del diritto e della coscienza internazionale.
Sul banco degli imputati sedevano figure di primissimo piano del Terzo Reich, da Hermann Göring a Martin Bormann, chiamati a rispondere di crimini contro la pace, crimini di guerra e contro l’umanità. Per la prima volta nella storia moderna, dei responsabili politici e militari venivano giudicati non solo per ciò che avevano fatto in nome dello Stato, ma per aver violato principi fondamentali dell’umanità stessa. Per giudicarli, le potenze alleate avevano creato un tribunale militare internazionale composto da giudici di Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Unione Sovietica.
La scelta di Norimberga non fu casuale: era la città simbolo della propaganda hitleriana, dei raduni di partito e dei congressi nazisti. In quella stessa città, distrutta dalla guerra e occupata dagli eserciti alleati, si pose invece la base di una nuova idea di giustizia. Il processo, durato dieci mesi, fu anche il primo grande evento mediatico globale, seguito da centinaia di giornalisti, tra i quali un giovane Willy Brandt, futuro cancelliere tedesco.
A Norimberga nacquero concetti che oggi fanno parte del nostro vocabolario: “genocidio”, “crimini contro l’umanità”, “crimine di aggressione”. Principi che, come ricordano gli studiosi e i responsabili delle istituzioni memoriali che oggi celebrano l’anniversario, sono ormai al centro della giustizia penale internazionale e continuano a ispirare i tribunali nati per i conflitti più recenti.
Ottant’anni dopo, questo anniversario resta un punto di riferimento per ricordare la Shoah e la strage compiuta nella Seconda Guerra Mondiale, oltre che un monito per il futuro.













