Per chi volesse fare un’immersione in un ebraismo non tanto lontano dal nostro, consiglio una visita a Dubrovnik, che per noi italiani è Ragusa. Questo affascinante porto fortificato, oggi croato, perla della verdissima e movimentata costa adriatica d’oriente, è stato infatti teatro di una attiva e importante comunità ebraica. Gli ebrei arrivarono a Ragusa già nel XIII secolo, probabilmente proprio dalla penisola italiana e dal sud della Francia. La repubblica marinara di Ragusa (indipendente da Venezia dal 1358), sita in un luogo strategico, di fronte alla stessa Venezia e lungo il crocevia tra il Vicino Oriente e l’Europa, offriva loro possibilità straordinarie di commercio tra Nord, Sud, Est e Ovest, ed una protezione da parte dei suoi governanti, interessati ad essere arricchiti dai traffici di cui erano capaci gli ebrei, e che a loro volta godevano, dal XV secolo in poi, del sostegno degli ottomani e degli spagnoli. Questo non significa che la comunità – che nei tempi d’oro arrivò a contare circa 200 persone – ebbe sempre vita facile, dal momento che dal 1546 fu creato un ghetto e che almeno due volte furono accusati di omicidio rituale. Tuttavia restò florida e autorevole fino alla seconda guerra mondiale, quando gli Ustascia croati, alleati con i fascisti italiani e con i nazisti, deportarono e uccisero gran parte degli ebrei rimasti. Il quartiere ebraico, o forse meglio chiamarlo con il nome croato, Žudioska, la strada degli ebrei, è nel cuore della bella cittadina. Tra palazzi che ricordano un po’ Venezia e un po’ Acri (l’israeliana Acco), chiese barocche di gusto asburgico e scalinate che ricordano Roma, non lontano dal Palazzo del Rettore (una specie di “doge” di Ragusa), ecco la stretta via in salita dove vivevano gli ebrei, chiusa un tempo dai cancelli del ghetto. La comunità, ancora attiva con circa 50 persone, detiene tutt’oggi la proprietà di quelle abitazioni, in una delle quali si possono visitare la sinagoga e un piccolo museo. Il tempio di Dubrovnik, che ha oggi arredi originari dall’Italia settentrionale, vanta essere la seconda più antica sinagoga d’Europa ancora funzionante e addirittura la più antica nel mondo tra quelle sefardite.
La sua costruzione risale al 1352. Tra i reperti più importanti conservati ed esposti nel piccolo museo si trovano rotoli della Torah medievali provenienti da Italia, Spagna e Francia, coperture della Torah realizzate in seta e decorate con ricami dorati del XVII secolo, oggetti rituali in argento del XVII secolo e uno splendido tappeto moresco del XIII secolo. Gli arrivi da Spagna e Portogallo dopo l’espulsione ingrandirono la comunità. Nei suoi archivi, conservati presso gli archivi di stato croati, nell’attiguo palazzo Sponza, si può addirittura vedere la firma autografa di Dona Gracia HaNasi, l’imprenditrice ebrea di origine iberica che a nel settembre del 1552 si registrava come agente marittima a Ragusa per commerciarvi merce di pregio dall’Europa all’Impero ottomano. Echi di storie e di famiglie note anche in Italia, come la dinastia sefardita dei rabbini Pardo, che da Ragusa si spostarono a Verona e a Livorno, contribuendo non poco all’ebraismo italiano. Fuori delle mura, nel quartiere di Ploce, c’è anche il Beit Ha Chaim, il cimitero, ben tenuto e curato. Tra i nomi: Bonfil, Romano, Salomon, Tolentino, Yeshurun, Danon, Ovadia, Baruch, Atias, e infine diversi ebrei aschenaziti, giunti quando Ragusa divenne, dopo Napoleone, parte dell’Impero austro-ungarico. Napoleone, che la occupò per 8 anni, mise fine alla storia aulica della Repubblica indipendente di Ragusa. In città non lo ama nessuno, neppure gli ebrei, poiché diversamente che in altri paesi, il generale francese non si preoccupò di dare loro eguali diritti. Dovettero aspettare di essere sotto gli Asburgo. Poi nacque il Regno di Jugoslavia, ma con la seconda guerra mondiale arrivò l’occupazione italiana (che vi estese le leggi razziali del ’38) poi la legislazione militare tedesca (già nel maggio del ‘43 i nazisti chiesero all’Italia di consegnare loro gli ebrei di Ragusa), applicata con l’aiuto dagli Ustascia croati. La comunità fu dimezzata da deportazioni e uccisioni di massa, eppure oggi, dopo anni di comunismo e di dolorose guerre, spera di tornare a nuova vita.