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    Cultura

    Il “dipinto della discordia” tra arte, storia e giustizia

    Una donna, un quadro, una storia. Una donna e un quadro sono i protagonisti di questa avventura, la quale è lunga, complessa, opprimente e a tratti anche tragica. Di questa vicenda conosciamo il luogo e l’anno: Germania, 1939.
    Lilly Cassirer Neubauer era un’ebrea, proprietaria del celebre quadro del pittore impressionista Jacob Abraham Pissarro, Rue Saint-Honoré, dans l’après-midi. Effet de pluie, conosciuto anche come “il dipinto della discordia”. Durante la Seconda Guerra Mondiale e, più specificatamente, durante la Shoah, Lilly dovette vendere il celebre quadro per 900 Reichsmark, ovvero circa 360 dollari, una cifra ingiusta se considerato il valore effettivo del dipinto, ma che, in quelle particolari condizioni, le avrebbe consentito di ottenere un visto di uscita per l’Inghilterra, anche se dai nazisti non ricevette mai i fondi promessi in quanto non era in grado di accedere al fondo bancario nel quale vennero depositati. Quando, successivamente, la guerra divenne per molti solo un ricordo, Lilly non riuscì a dimenticarsi di quel quadro ritraente una Parigi pomeridiana immersa nella pioggia e decise, nel 1958, di fare causa alla nuova Repubblica Federale Tedesca per ottenere un risarcimento di 250.000 dollari. Nel corso dei decenni, il dipinto divenne oggetto di contrabbando negli Stati Uniti e, infatti, passò da una collezione privata a St. Louis a Beverly Hills a una galleria di New York, dove poi verrà acquistato dal collezionista d’arte svizzero barone Hans Heinrich Thyssen-Bornemisza, il quale lo cederà ancora una volta al Museo Fondazione Thyssen-Bornemisza in Spagna.
    Alla sua morte, Lilly lasciò i diritti del dipinto, ormai scomparso, al nipote, Claude Cassirer, il quale, nel 2000, scoprì la sua esatta locazione. Da quel momento in avanti il quadro divenne ancora una volta oggetto di discordia e di cause intentate per ottenerne la restituzione: dapprima una causa contro il governo spagnolo, respinta, e, successivamente, una causa intentata in un tribunale federale di Los Angeles nei confronti del museo spagnolo, arrivando nel 2019 alla Corte Suprema degli Stati Uniti. Tuttavia, nessuna di queste sentenze ebbe il risultato sperato dalla famiglia Cassirer in quanto venne sostenuto che l’acquisto avvenne in buona fede in forza di un contratto valido e tramite il possesso prolungato e manifesto per più di sei anni. Nonostante il nuovo appello, presentato dalla famiglia protagonista di questa storia, recentemente, una corte d’appello degli Stati Uniti ha definitivamente stabilito che il celebre dipinto oggetto della discordia, sottratto dai nazisti ad una donna ebrea, appartiene al museo spagnolo Thyssen-Bornemisza.
    Questa storia, vista da fuori, si direbbe teatro dell’assurdo. Logicamente, risulta assurda l’insistenza e le continue giustificazioni della Spagna e del suo museo a trattenere opere d’arte appartenute a famiglie ebraiche e saccheggiate dai nazisti. Arrivati a questo punto, risulta opportuno chiedersi: è meglio esporre l’arte all’umanità o fare giustizia? Qualsiasi sia la risposta, questo problema non sembra avere soluzione, ma solo storia.

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