Mettete assieme un ex sindaco di Roma e un decano della comunità ebraica ed ecco che anche a quaranta gradi con un tasso d’umidità ragguardevole si raggruppano una cinquantina di persone per scoprire la Roma ebraica al di là di Portico d’Ottavia. Francesco Rutelli e Sandro Di Castro sono gli artefici della passeggiata organizzata in collaborazione con il Centro di Cultura della Comunità che ha concluso “Ebraica”, le giornate della cultura ebraica. Un itinerario che si è terminato con la presentazione del libro di Rutelli “Roma, camminando” in cui l’ex sindaco suggerisce itinerari noti e meno noti per scoprire la città eterna.
Qual è il legame tra Rutelli e la comunità ebraica?
“Mio nonno è stato riconosciuto a Yad Vashem come giusto tra le nazioni perché ha rischiato la vita per salvare un suo dipendente giovane ebreo. La mia vita è cambiata quando l’ho saputo. Mia madre era nata lì in quella casa, nei pressi di via Nomentana, dove io sono nato una decina d’anni dopo quei fatti. Ho capito che la cosa veramente importante di mio nonno era il suo silenzio discreto, non era orgoglioso più di tanto di aver compiuto questo gesto, lo considerava una cosa giusta e normale da fare per un borghese romano che non accettava l’occupazione nazista e la persecuzione nei confronti degli ebrei.
Quando era sindaco, ha iniziato i viaggi della memoria…
I viaggi della memoria sono iniziati alla metà degli anni ’90 e poi sono proseguiti da tutti i sindaci, questa è una cosa estremamente positiva. Ricordo che chiesi ai presidi di non mandarmi i “secchioni”, gli alunni già motivati, ma gli studenti più difficili che dovevano capire cosa fosse Auschwitz e prenderne consapevolezza. Da allora abbiamo fatto molte cose, come dare alla comunità il centro della cultura ebraica che era una scuola abbandonata. Pagine normali per una comunità che appartiene alla storia di Roma. Gli ebrei sono stati qui prima dei cristiani, dal secondo-primo secolo a.c., poi arrivati e deportati in massa nel ’70 dopo la distruzione del tempio da parte di Tito. Gli ebrei romani sono stati a lungo umiliati, maltrattati, considerati come una realtà da ridicolizzare, da tenere ai margini da parte dei cristiani fino all’edificazione del ghetto, a metà del ‘500 da parte di Paolo IV, papa Carafa. Una pagina di gioia oggi, durante le giornate della cultura ebraica, di dolore per troppi secoli. Chi dimentica quel dolore che culminò nella deportazione durante l’occupazione non sa cosa l’attende. Lo attende il ritorno non di fantasmi, ma dei corpi fisici della sopraffazione, dell’orrore, della morte, della discriminazione.
Nel suo libro, quali itinerari consiglia a chi vuole conoscere la cultura ebraica?
Il mio libro è fatto di 18 itinerari lungo tutta la città di Roma che incrociano in tante parti fatti ebraici. La cosa più significativa è che gli ebrei non erano nel vecchio quartiere ebraico, ma in Trastevere e che si sono trasferiti in Portico d’Ottavia perché molti erano impegnati nell’attività della Pescheria che era in questa zona. Si raccontano tanti fatti, come quello dei due grandi Mosè, quello di San Pietro in Vincoli scolpito da Michelangelo, e quello che sta nella grande fontana voluta da Sisto V dove si mostra l’acqua felice. Segni della presenza ebraica ci sono un po’ dovunque. Dobbiamo imparare a considerare gli ebrei di Roma non come una particolarità, ma come una fibra stessa della nostra comunità e della vita di tutti i romani.