
“Letters for life”, lettere per la vita, presenta una parte della corrispondenza privata del Rebbe Lubavitch, Rabbi Menachem M. Schneerson, attraverso l’approccio diretto e accessibile del giovane rabbino Levi Y. Shmotkin. È una lettura piacevole e profonda volta ad esplorare il benessere emotivo a partire dalle risposte che il Rebbe ha dato negli anni ai quesiti di ebrei di tutto il mondo che a lui si erano rivolti. Rebbe Schneerson è noto per aver rivestito un ruolo centrale nel mondo ebraico dopo la Shoah. È sopravvissuto ai pogrom russi e alle persecuzioni naziste prima di trasferirsi a New York. Quotidianamente nel suo ufficio e attraverso la corrispondenza rispondeva ai quesiti più diversi di interlocutori, di ogni età e livello di osservanza.
Il testo è frutto di un lavoro di oltre cinque anni del rabbino Shmotkin che ha trovato nelle parole del Rebbe grande sollievo ed energia per affrontare un periodo difficile nella prima metà dei suoi vent’anni. Shmotkin ha cercato di presentare ai suoi lettori alcuni strumenti pratici per affrontare la vita con serenità e confidenza. Il rabbino, oggi ventisettenne, ha presentato il testo in oltre 60 città e ha da poco iniziato un tour europeo che ha visto tra le sue mete anche Roma. Qui il testo è stato presentato al Tempio Beth Eliyahu di Roma nell’ambito di una conversazione filosofica tra l’autore e Rav Zalmen.
Shmotkin ha cercato di evidenziare alcuni temi e concetti ricorrenti che si possono rilevare nelle risposte del Rebbe suddividendoli in paragrafi finalizzati ad aiutare il lettore ad affrontare argomenti riconducibili alla sfera emotiva e psicologica attraverso le parole del Rebbe. E così, tra le pagine di Shmotkin si parla di come costruire buone abitudini, di come superare l’oscurità interiore, il malcontento, le preoccupazioni o ancora di come avere il coraggio di cambiare. Si tratta di temi che emergono nelle risposte del Rebbe rivolte ad interlocutori molto diversi tra loro. È il caso di una lettera indirizzata ad un adolescente vissuto negli anni Cinquanta o ad una donna che chiede consigli per migliorare il suo umore, o ancora ad una signora che stava maturando un forte senso di colpa per una vicenda di cui si riteneva colpevole. Nella conversazione con Rav Zalmen, Shmotkin ha parlato dell’importanza di essere presenti come esseri umani nelle relazioni interpersonali, della solitudine, del pericolo dell’autocommiserazione e della dipendenza che essa può provocare nelle persone. Secondo il rabbino Shmotkin, nella visione del Rebbe era fondamentale entrare in contatto con un livello più alto di noi stessi.
«Spesso si ha la sensazione che la Torah sia un insieme di indicazioni pratiche, riti e divieti. Ciò può rendere l’atteggiamento verso le tradizioni un po’ distante e freddo. A volte, chi studia di più scopre una dimensione più spirituale, vasta e profonda, ma raramente si hanno gli strumenti per accedere all’insegnamenti psicologici, emotivi e comportamentali, offerti dalla stessa Torah. Linee guida, aiuti, consigli umani e pratici di cui abbiamo bisogno, soprattutto in periodi di incertezze, dipendenze e fragilità d’animo come questi anni» spiega Rav Zalmen secondo cui «il Rebbe ha sempre mostrato verso il prossimo, ebreo e non, un amore e un’empatia cristallini. Tale approccio si è poi tradotto in consigli e indicazioni pratiche basate sulla Torah che pochi maestri nelle generazioni hanno dimostrato di conoscere e di spiegare ad un pubblico più vasto».
Rav Zalmen invita a leggere il lavoro di Shmotkin ritenendo che il messaggio del Rebbe «può aiutarci a renderci più consapevoli del fatto che anche i nostri problemi più intimi e personali trovano risposte e luce nelle nostre tradizioni e insegnamenti millenari. Tocca a noi trovare l’umiltà di ascoltarli».