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    La necessità della Memoria nel nuovo libro “Un nome che non è il mio” di Nicola Brunialti

    Si è tenuta ieri presso la Casina dei Vallati, nel cuore del Portico D’Ottavia la presentazione del libro di Nicola Brunialti “Un nome che non è il mio” (edito da Sperling e Kupfer), organizzata dal Centro di Cultura Ebraica e dalla Fondazione Museo della Shoah. Brunialti, pronipote di Alessandro Manzoni, è autore di molti programmi televisivi e radiofonici. Scrive libri per ragazzi, film e spettacoli teatrali. Un’urgenza, quella di raccontare la memoria, sempre più attuale che si nutre di storie reali che unite compongono un mosaico di voci alla quale la letteratura da spazio. “Questa storia, particolarmente interessante oltre a raccontare di un momento storico importante pone l’accento su un altro tema fondamentale legato alla Shoah: l’identità, talvolta nascosta in maniera dolorosa” ha detto la Presidente della Comunità Ebraica Ruth Dureghello, aprendo la presentazione.


    Un romanzo complesso, che si trasforma in saggio storico in grado di analizzare scientificamente la Shoah fondendola alle vicende personali dei personaggi. Ambientato nella Vienna di oggi, il romanzo parte con Rudolf Steiner, un uomo ormai vecchio e rassegnato alla convinzione che tacere il suo passato doloroso sia l’unico modo per andare avanti. Un giorno però, Marcus suo nipote, quindicenne ribelle viene sospeso per aver imbrattato i muri della scuola con frasi offensive verso una compagna ebrea. È così che Rudolf si convince che la memoria non può essere taciuta oltre. Decide dunque di portare il ragazzo in Polonia, un’occasione, forse l’ultima per riportare a galla dei ricordi sepolti per troppo tempo. Una storia toccante e profonda che ci riporta tra le dolorose mura del ghetto di Varsavia. Caratterizzato da una minuziosa ricerca storica “Un nome che non è il mio” è un sorprendente viaggio letterario nella storia fatta di coraggio e di crudeltà. Una Shoah fatta di esistenze e storie spezzate dall’atrocità del nazismo. “Un testo scritto in maniera magistrale, nel quale ho riscontrato una profonda conoscenza del mondo Ashkenazita riportato anche con la giusta terminologia. Un vero lavoro scientifico, oltre che letterario” ha detto Sandro Di Castro, Presidente del Bene-Berith.


    Un testo, che ha preso forma durante la pandemia, come detto dallo scrittore stesso, frutto di un profondo studio sulle vicende che caratterizzarono gli anni del Terzo Reich. “Sono commosso, specialmente perché per me questo è un piccolo riconoscimento dopo due anni di lavoro. Questa opera è nata mentre ero chiuso in causa a causa delle restrizioni da Covid-19. È stato faticoso immergersi in quelle pagine di storia. ha detto Nicola Brunialti. “Ho pensato che soprattutto in questo momento, in cui i testimoni purtroppo stanno scomparendo per problemi anagrafici, fosse mia responsabilità, non solo come scrittore ma come essere umano, raccontare questa storia per far sì che i ragazzi la conoscano. Volevo dar voce a quel numero enorme: 6 milioni. Un numero spesso difficile da mettere a fuoco per le nuove generazioni. Quando ho scoperto che se noi stessimo in silenzio un minuto per ogni vittima della Shoah, staremmo in silenzio undici anni e mezzo ho capito che questo poteva far capire l’enormità di ciò che è stato. Da quei numeri bisognava estrapolare delle storie e donarle alle nuove generazioni” ha concluso l’autore. 

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